Il Dlgs 18/2023 aggiorna la disciplina sulle acque potabili (abrogando il Dlgs 31/2001) rivede i parametri e i valori di rilevanza sanitaria a maggiore protezione dei cittadini, stabilisce i requisiti di igiene per i materiali che entrano in contatto con le acque potabili, per i reagenti chimici e per i materiali .
Il decreto legislativo è stato adottato in attuazione della Direttiva (UE) 2020/2184 , concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, e della delega contenuta nella legge n. 127/2022 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2021), e, in particolare, in conformità ai princìpi e criteri direttivi specifici recati dall’articolo 21 della legge citata, riguardanti il recepimento della citata direttiva.
I punti salienti:
In dettaglio:
Qualità delle acque destinate al consumo umano Atto del Governo 15
Decreto Legislativo n.18 del 23 febbraio 2023 Attuazione della direttiva (UE) 2020/2184 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2020, concernente la qualita’ delle acque destinate al consumo umano. (23G00025), pubblicato su Gazzetta Ufficiale il 6 marzo 2023 n. 55
febbraio 2016
Visto il successo della precedente iniziativa, che ha visto migliaia di persone riversarsi nelle stazioni per attendere e per salutare con rispetto e con commozione il Treno del Milite Ignoto 2021, il Ministero della Difesa e la società FS hanno ritenuto opportuno far ripetere da FS e dal Genio Ferrovieri tale iniziativa seguendo il seguente itinerario (che interesserà gran parte delle regioni italiane comprese la Sardegna e la Sicilia):
Nel corso di una serie di conferenze organizzate in Veneto nel settembre 2021 Giacomo Galbusera, che già aveva scritto una tesina ( disponibile in fondo alla pagina) in merito all’acquedotto della Malga Busi, ha parlato degli acquedotti militari e l‘approvvigionamento idrico per le truppe sull’Altopiano di Asiago.
La Prima Guerra Mondiale fu il più grande conflitto armato della storia e coinvolse tutta l’Europa, oltre le colonie dell’Impero britannico, gli USA e l’Impero Giapponese e si svolse principalmente in territorio europeo tra l’estate del 1914 e la fine del 1918. Fu una guerra di posizione e nel caso specifico di trincea, ossia si combatteva metro per metro, passo per passo: le perdite in una sola battaglia erano altissime (tristemente famose sono la battaglia di Verdun e la battaglia della Somme). I soldati erano affogati nel fango, nella neve, nel ghiaccio o sabbia, protetti da sacchi imbottiti di sabbia o tavolacci di legno con metri di filo spinato e, per osservare le posizioni nemiche, erano costretti a sporgersi o a guardare in piccoli spioncini. Gli assalti poi erano terribili; nei primi metri venivano falcidiati centinaia di uomini da mitragliatrici e cannoni oltre che dall’utilizzo di armi chimiche.
Perchè scrivo questo articolo?
Il mio lavoro è stato ed è tuttora di altro tipo; mi occupo di gestione della risorsa idrica, della sua sostenibilità e soprattutto degli impatti che una carenza o un eccesso di acqua possono incidere sulla vita umana.
Forse è proprio per questo che ho cominciato, circa due anni fa, dopo una visita ad una mostra per celebrare il centenario della prima guerra mondiale, ad interessarmi come avveniva l’approvvigionamento idrico durante la Grande Guerra.
L’inizio della guerra
L’acqua, oltre alla consapevolezza di essere un elemento vitale per la nostra sopravvivenza, è sempre stata molto importante per l’umanità, sia come elemento di difesa e che di offesa.
Noti sono gli insediamenti palafitticoli dei primi insediamenti umani e i fossati a difesa dei castelli medievali o gli allagamenti provocati per impedire l’avanzata del nemico.
Considerando che la logistica ed i servizi di supporto hanno sempre influito in maniera determinate sull’andamento delle guerre e soprattutto sul morale dei combattenti, la non disponibilità di cibo o acqua o il rincalzo di truppe fresche per la sostituzione in prima linea di soldati stanchi o ammalati può veramente fare la differenza.
All’inizio della Grande Guerra un vero approvvigionamento idrico non venne predisposto perché si pensava che le risorse reperibili localmente fossero più che sufficienti per i soldati, per gli animali e per le armi. Infatti nei conflitti precedenti, molto più definiti a livello locale, di breve durata e con rapidi spostamenti, non era stato necessario predisporre un servizio in tal senso.
Invece, essendo soprattutto una guerra di mantenimento della posizione con un’enorme massa di uomini e di mezzi in movimento, in zone montagnose dove le poche sorgenti presenti venivano inquinate dai rifiuti e da scarichi di liquami, era necessario che fosse previsto un servizio di fornitura d’acqua potabile ai militari. Decisione presa rapidamente dopo le epidemie di tifo e di colera che si diffusero nelle Armate, soprattutto la seconda e la terza, nell’ottobre del 1915.
Considerando l’impossibilità di reperire in zona informazioni attendibili sulla salubrità delle acque si cominciò a trasportare acqua dagli acquedotti civili presenti nelle retrovie, utilizzando vagoni cisterna trasportati al fronte. Ma la vera sfida era portare l’acqua fino a dove occorreva superando le asperità del terreno tramite l’utilizzo di centrali di rinvio che la portavano alle prese d’acqua e ai serbatoi di distribuzione. Da quel punto l’acqua, per arrivare ai reparti, veniva portata, a seconda delle possibilità, con autobotti, carri, ghirbe o a spalla.
La ghirba era un otre di pelle usato in Africa che, durante la guerra in Libia nel 1911 e 1912 venne anche utilizzato dai soldati italiani per trasportare acqua, solo che risultò essere inadatta per i climi temperati, umidi che favorivano il proliferare di batteri patogeni nell’acqua. Tale sistema fu il migliore per portare acqua in quota sfruttando le sorgenti locali fino al maggio 1916.
Ma la controffensiva austriaca, prendendo come esempio l’altopiano di Asiago, di natura carsica, privò gli italiani della maggioranza delle sorgenti presenti nel territorio, costringendo l’approvvigionamento delle acque lontano anche 30 km dall’altopiano. Le strade, poi, di accesso ad Asiago erano due strette strade di montagna, le uniche percorribili per tutte le necessità, quindi congestionate dal traffico.
Non solo, come scrive nei suoi appunti il Generale Giovanni Battista Marieni, Comandante Generale del Genio Militare, a partire dal 1917, con il compito di riconvertire le linee di difesa a seguito della nuova situazione creatasi in conseguenza della disfatta di Caporetto, questo tipo di approvvigionamento non dava, militarmente parlando, buoni risultati. Le salmerie dovevano attraversare terreni continuamente battuti dalle artiglierie nemiche e venivano facilmente colpite con conseguente perdita di uomini e materiali. Perciò si cominciarono a costruire acquedotti in prima e seconda linea con un adeguato sistema di sollevamento fino a quote molte elevate.
Gli acquedotti e le infrastrutture di sostegno
L’approvvigionamento idrico serviva per il 60% per gli animali, per le costruzioni delle opere di difesa, per l’innaffiamento stradale (le strade non erano asfaltate) e per i bagni delle truppe. Ma serviva anche per il raffreddamento dei gruppi compressori, delle mitragliatrici e degli autoveicoli. Si calcolava che per il soldato servivano solo 9 l/giorno e in caso di ristrettezze 5 l/giorno. Gli acquedotti costruiti erano di tipo classico, ossia a pressione e a gravitazione e la rete di distribuzione era stata progettata e concepita in modo da distribuire in modo organico l’acqua, anche alle prime linee. I serbatoi di accumulo erano costruiti in caverne, ove possibile, e l’acqua scendeva per gravità in piccoli serbatoi in legno o altro di circa mezzo metro cubo posti, alle volte, direttamente nelle trincee.
Le pompe all’inizio erano a benzina, molto ingombranti per cui ben presto si dovette procedere all’elettrificazione di quasi tutti i motori delle centrali idriche sparse su tutto il fronte poiché, dopo il 1917, la fornitura di benzina e petrolio cominciava ad essere saltuaria. Vennero costruiti gli impianti elettrici lungo l’Isonzo con il collegamento alle linee delle società elettriche. A metà del 1917 tutte le centrali di testa, come il Carso, pianura di Cormons, Altopiano di Asiago erano elettrificate, nonostante la difficoltà di reperire trasformatori e motori, mantenendo come riserva quelli a benzina.
Una delle tante difficoltà tecniche da affrontare fu il sollevamento dell’acqua nelle regioni di alta montagna fino anche a 2000 e passa metri di altezza in pareti molto ripide, dove già era difficile il posizionamento dei tubi e quindi impossibile la costruzione di strade e il posizionamento di stazioni di rinforzo.
L’organizzazione: i Reparti Idrici
All’inizio della guerra non c’era un sistema definito di approvvigionamento idrico, ma a fronte delle necessità e delle problematiche che man mano si presentavano, il reperimento e la gestione delle acque vennero, come per altri servizi di sostegno, affidati al Genio Militare. All’inizio il personale specializzato era molto carente in quanto si reclutavano gli addetti da tutte le armi che, però, rimanendo effettivi ai corpi di provenienza, vi era il rischio di vedersi richiamare improvvisamente all’armata di origine. Con il tempo i cantieri idrici vennero costituiti in plotoni idrici nelle retrovie con personale fisso e preparato, fornito di tutti i supporti necessari sia logistici che di disciplina per svolgere al meglio il lavoro, ottenendo efficienza e sicurezza nel funzionamento delle centrali idriche necessarie per l’approvvigionamento regolare delle truppe. Facevano parte dei reparti idrici ingegneri idraulici, capotecnici e operai specializzati.
Presso ogni Comando di Armata venne istituito un Ufficio idrico con annesso un laboratorio di riparazione, un laboratorio chimico-batteriologico e un numero di Plotoni Idrici variabile da cui dipendevano i magazzini dei materiali.
Dopo la disfatta di Caporetto e la perdita ingente di materiale, la nomina del Generale Marieni portò a dei cambiamenti come la riorganizzazione degli uffici idrici, una migliore gestione delle analisi batteriologiche delle acque con la prevalenza della prevenzione, l’aumento di personale specializzato e formato. La nuova organizzazione consentì che in pochi mesi si riuscì a costruire 3 acquedotti con lunghezza variabile da 40 km a 180 chilometri con decine di centrali di sollevamento.
Nel contempo, memori dei problemi logistici scaturiti dalla disfatta di Caporetto, si cercò di regolamentare la procedura nel caso di ritirata del salvataggio delle apparecchiature del servizio idrico. In effetti nel giugno 1918, durante un’offensiva del nemico, non mancò mai l’acqua alle truppe nonostante la distruzione quasi completa delle tubature.
Lo stesso principio venne applicato nella progettazione della logistica quando si avanzò rapidamente nell’ottobre 1918. Consapevoli che gli austriaci avrebbero distrutto anche gli acquedotti civili ed inquinato le sorgenti e i pozzi, si riattarono con metodi di fortuna i servizi idrici delle grandi città e dei piccoli centri. Tale operazione proseguì anche dopo l’armistizio, nelle zone conquistate, devastate dai combattimenti, dove nonostante la smobilitazione dei reparti idrici, circa 50 ufficiali e 1500 specialisti riuscirono a ripristinare tutti gli acquedotti per un totale di 200 chilometri di tubazioni e 50 pozzi artesiani.
Acquedotti Militari esistenti
Ecco l’elenco, ovviamente non esaustivo, degli acquedotti esistenti, tratto dal Diario del Generale Giovanni Battista Marieni.
L’area, Valle Lagarina -Vallarsa – Val Pesina e Val d’Astico, era presidiata da enormi forze combattenti e sulle montagne non esisteva la quantità d’acqua necessaria: ciascuna di queste posizioni doveva essere fornita del suo impianto di sollevamento. Vi erano varie linee di impianti dalla prima alla seconda fino a quelle arretrate per le truppe a riposo.
Il ripiegamento della nostra linea di schieramento, dopo l’attacco austriaco della primavera 1916, causò la perdita delle ricche sorgenti della Renzola della conca di Asiago e di quelle di Covolo di Gallio, della Marcesina e di altre minori che sino allora avevano servito per il rifornimento dell’acqua alle truppe, mentre la richiesta d’acqua aumentò in modo impressionante. All’inizio si fece fronte con trasporto dal piano, dal acquedotto di Marostica, per mezzo di autobotti le quali dovevano percorrere circa 30 km di strada superando il dislivello di 1000 m ed impegnandovi in media 400 autocarri ogni giorno. Per risolvere il problema l’Ufficio Idrico della 6a Armata decise di alimentare l’intero altopiano ricorrendo a diversi acquedotti minori, che, in breve tempo, avrebbero assicurato l’acqua. Infatti soltanto nel territorio della 6a Armata furono costruiti, fra grandi e piccoli, ben 37 acquedotti; mentre altri 13 acquedotti furono impiantati sul territorio comune tra la 6a Armata e le Armate e limitrofe 1a e 4a.
I principali impianti
Su questa zona non vi era da fare alcun assegnamento sulle risorse locali, essendo la regione montuosa completamente priva d’acqua. Né vi era la possibilità di portare l’acqua con autobotti dalla pianura sottostante, dato il dislivello di 1500 metri e considerato che sino al giugno 1918 esisteva una sola via camionabile. Nemmeno le teleferiche, che mano a mano venivano messe in esercizio, avrebbero potuto trasportare le ingenti quantità d’acqua necessarie. Però se il massiccio del Grappa nelle sue rapidissime pareti meridionali è privo d’acqua, questa abbonda invece nella zona pedemontana: qui pertanto vennero costruite le numerose centrali o stazioni di sollevamento. Nella zona del Grappa vennero costruite cinque centrali o stazioni di testa: Ferronati con potenza di 75 Hp, Borso di 60 Hp, Covolo di 90, San Liberale di 120 e Caniezza di 90; quattro stazioni di rinvio: Santa Felicita di 150 Hp, Capitello di 30, Osteria del Campo di 20 e Col di Rondoli di 60 Hp. Lo sviluppo delle condutture superò i 90 km.
Non appena la 3a Armata si schierò dal Montello al mare, la Direzione Idrica del Comando Generale del Genio doveva occuparsi della dotazione idrica dell’area. Si ricorse pertanto colla massima sollecitudine all’impianto di ben otto reti di condutture per un complessivo sviluppo di 86.500 m, con cui fu distribuito 1 milione di litri di acqua potabile al giorno.
I dati e le notizie inserite nell’articolo fanno a capo a poche fonti bibliografiche, come il diario del generale Marieni cortesemente inviato dalla famiglia, i Bollettini dell’Istituto Storico dell’Arma del Genio dove scrisse l’ing. Gino Veronese, i volumi editi dal Ministero della Guerra e poco altro gentilmente fornitemi da Cime e Trincee e Guerra Bianca, siti amatoriali sulla Grande Guerra. Ciò nonostante traspare comunque dalla storia l’abnegazione, il sacrificio ed il senso del dovere di questi soldati e ufficiali che da agricoltori con la zappa, si sono trasformati in specialisti nella posa di tubi, di gestione dei serbatoi, delle pompe, senza alcuna informazione almeno all’inizio della guerra.
Dall’altro lato la guerra ha portato, riferendosi anche solo alla tecnologia dell’approvvigionamento idrico, un balzo in avanti notevole soprattutto per il tipo di materiali utilizzati, per lo studio sulle pompe e sulle infrastrutture utilizzate. Gli studi professionali, come la società Giordana e Garello di Torino, quello dell’Ing. Ballerio di Milano, ed infine la Franchi Gregorini di Dalmine, tra tanti altri, hanno sicuramente contribuito a fare in modo che le truppe avessero, sempre, acque fresche e pulite e combattessero con un animo un filo più rasserenato.
Per sottolineare, infine, il lavoro del Genio Militare per portare acqua ai soldati, basti pensare che su tutto il fronte italiano esistevano 150 centrali di sollevamento con 1.500 km di tubi, e che il Comandante delle truppe britanniche in Italia Generale Frederick Lambart, X conte di Cavan, ebbe a dire: ” che la vittoria dell’Italia si deve anche all’ Arma del Genio”.
Per approfondire si segnalano alcuni tra le migliaia di siti esistenti sulla prima guerra mondiale, sottolineando che quasi nessuno parla di servizio idrico.
http://www.centenario1914-1918.it/it
http://www.trentinograndeguerra.it/
http://www.grandeguerra.rai.it/
http://www.venetograndeguerra.it
http://www.lagrandeguerra.net/
http://www.albodorograndeguerra.it/
Uno studente Giacomo Galbusera dell’Istituto Tecnico De Pretto di Schio ha prodotto per gli esami finali dell’anno scolastico 2016-2017 un’ interessante tesina sull’acquedotto militare di Malga Busi sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista ingegneristico. La tesina in formato PDF è scaricabile qui
di Cristina Arduini ©
Il “Bepi” aveva freddo in quell’aprile del 1917, rintanato nella caverna in attesa di ritornare in trincea, sperando che il vento gelido che sferzava la cima del Pasubio finisse. Dopo un inverno con tanta neve che a sua memoria non ricordava di aver mai visto, era contento di essere ancora vivo e non, come molti suoi compagni travolti da valanghe e slavine. Sentiva, a fondo caverna, il ragliare degli asini che volevano cibo ed acqua e pensava che a uno dei prossimi turni sarebbe toccato anche a lui aiutare a portare su le cisterne piene d’acqua. Per fortuna tra pochi giorni, come continuava a ripetere il comandante, sarebbe finito l’acquedotto che avrebbe portato l’acqua fin da loro. Ne era orgoglioso, erano stati bravi i Genieri, aveva visto con quante difficoltà avevano combattuto! Ma almeno avrebbero potuto lavarsi, dar da bere alle bestie e soprattutto bere acqua fresca. Ad occhi chiusi rivedeva la fattoria della sua famiglia e vedeva la madre che andava al pozzo a prendere l’acqua e si immaginò alla fine della guerra a costruire un piccolo acquedotto per alleviare le fatiche della mamma.Ci sarebbe mai riuscito? Aveva seguito i lavori e aveva fatto tesoro di alcuni insegnamenti appresi quando si era offerto volontario per aiutare i Genieri. Sospirando si alzò sentendo il richiamo del sergente, prese il fucile ed andò a posizionarsi in trincea pregando che quella sera la guerra finisse.
Simpaticamente il sito cime e trincee ha voluto ripubblicare l’articolo.
Luigi Tatti (1808-1881) è stato un grande ingegnere comasco, che lavorò anche in Milano e che realizzò importanti opere ferroviarie e idrauliche come il Canale Cavour in Piemonte e il Canale Ledra – Tagliamento in Friuli. Possedeva una vastissima biblioteca di libri a tema e che è stata acquisita dal Sistema Bibliotecario Milanese. Tra questi è interessante parlare di un breve testo che riguarda il Lambro scritto a metà Ottocento. L’autore è sconosciuto, anche se nel sito della storia di Villasanta il testo viene attribuito a Antonio Cavagna Sangiuliani conte di Gualdana (1843-1913)storico vogherese molto attivo nelle iniziative culturali.
Il Lambro nel 1845
L’autore del testo coglie l’occasione dell’attivazione del consorzio per utenti sul fiume Lambro dai laghi di Pusiano e Alserio fino al confine della Provincia di Milano oltre Melegnano, comprensorio attivato con dispaccio della Luogotenenza Imperial Regia Lombarda; delinea, con brevi note, il percorso del fiume dai monti della Valsassina ( ora sappiamo che nasce a Piano Rancio nel comune di Magreglio) fino all’immissione nel Po, evidenziandone alcuni punti come il ponte della Malpensata oppure a Mojana dove prende il nome di Lambrone, causa regimazione effettuata dagli Austriaci prima dello scarico nel lago di Pusiano.
Vi è pure un continuo riferimento agli argini ben definiti dell’alveo, probabilmente dovuto alla particolare sensibilità del tempo sulle inondazioni e alluvioni di fiumi non regimati dall’uomo e sul fatto che, anche causa piene stagionali, il Lambro non è navigabile. Occorre sottolineare che la navigazione fluviale fino ai primi anni del Novecento era importante per il trasporto di merci e persone.
L’autore elenca con particolare cura le numerose chiuse, ricche di dettagli tecnici, lungo il percorso fino a Melegnano, soffermandosi sull’importanza della roggia Gallarana che si dirige verso il Parco di Monza. Le chiuse anche libere venivano utilizzate soprattutto dai mulini per grano, olio, molature di armi, filature di cotone, cartiere e produzione di legnami.
La più importante delle “levate”, però, è quella dell’Imperial Regia Polveriera di Lambrate, anche se nel testo si accenna solamente alla sua ubicazione ed importanza.
Una larga parte del testo riguarda la cronistoria del lago di Pusiano e dei vari passaggi di proprietà tra notabili, arcivescovi, regnanti fino alla diatriba tra l’avvocato Diotti e i vari proprietari succedetesi negli anni. L’avvocato Luigi Diotti era il promotore e finanziatore del famoso Cavo Diotti, utile per l’irrigazione agricola e regolatore allo sbocco della Valle del Lambro, necessario per mantenere un buon livello di portata del fiume anche in periodi di magra.
Il Cavo Diotti
Il canale venne progettato dall’ingegnere Paolo Ripamonti che realizzò una diga per governare i 12.705 metri cubi di acque del lago di Pusiano. Nel 1799 una piena rovinosa aveva bloccato per settimane le comunicazioni tra Como e Lecco. A chiederlo erano anche le decine di proprietari di torchi e mulini che lavoravano sulle acque del Lambro. E poi i contadini: avevano bisogno di essere posti al riparo dalle acque di questo fiume, evitando piene d’inverno e la siccità d’estate. A tutti diede una risposta il Cavo Diotti, che a partire dal 1812 assicurò la protezione dalle piene e dalla siccità delle numerose manifatture che sfruttarono le acque del Lambro: l’opificio Galeazzo Viganò, a Ponte Albiate, il candeggio Frette e il cappellificio Cambiaghi a Monza; il filatoio Krumm a Realdino di Carate. Ma già negli anni Ottanta del secolo scorso il Cavo Diotti, mai restaurato in due secoli, smise di funzionare. Nel 2002 l’alluvione di Monza dimostrò l’utilità strategica della piccola diga.
Dal 2016 è nuovamente funzionante , come da articolo del Corriere
L’autore, infine, evidenzia che, vista l’importanza strategica del fiume Lambro, era sempre sotto tutela pubblica e conclude il suo scritto con una dettagliata descrizione delle due grida, che regolamentavano l’utilizzo delle acque, del 26 luglio 1756 e del 20 dicembre 1782 valide anche a metà Ottocento e che potrebbero tranquillamente valere tuttora.
Mossa dallo stesso tipo di curiosità che ha mosso l’autrice, Piera Fossati, del volume ” La Polveriera, storie di acque e polveri nel territorio dell’Ortica” dove racconta la storia dell’Ortica, quartiere milanese, usando come traccia nei secoli il fiume Lambro, ho approfondito la storia della Polveriera di Lambrate. Una realtà ora completamente dimenticata, ma per centinaia di anni protagonista dell’area a ridosso del Lambro.
All’inizio tra Crescenzago e Cascina Monlué nell’est milanese, il medio Lambro era molto tortuoso, insinuato tra paludi e boschi infestati di animali di vario genere, caratterizzando il paesaggio con le acque non ancora incanalate e con gli acquitrini alimentati dalle risorgive. Le bonifiche cominciarono nei secoli XI- XIII cambiando in modo profondo il territorio, considerato insalubre, instaurando un approccio orientato all’utilizzo del terreno per l’agricoltura.
Il bacino del Lambro è un bacino idrico complesso che , tra l’altro, attraversa la cosiddetta fascia dei fontanili, ambienti semi-artificiali, ed è ricco di rogge tra cui la Roggia Molinara, che azionava il Mulino della Paglia e che entrava nel Lambro prima dei mulini della Polveriera, dove il fiume si divideva in due rami: il Lambro Vecchio e il Lambretto.
Il fiume, come descritto in una relazione del 1782, scorreva in piano e solo con le chiuse era in pendenza, creando accumuli di ghiaia che era necessario spurgare con grande attenzione per evitare di cambiare la capienza del corso d’acqua, importante per le concessioni di utilizzo.
La Polveriera, poi, e le sue infrastrutture, i due mulini della polvere, comparvero già negli ultimi anni del Cinquecento e rimasero in funzione fino alla metà dell’Ottocento. Erano posizionati nella zona tra Cavriano e Lambrate inferiore e precisamente sull’isola formata dal fiume.
Come si legge negli archivi era considerata dagli abitanti una presenza scomoda sia per ovvi motivi di sicurezza come esplosioni ed incendi, sia per controversie legate all’uso delle acque in quanto la fabbrica aveva diritto di prelazione, essendo considerata strategica dalle autorità preposte.
Riassumendo brevemente la storia in elenco non esaustivo:
L’ultimo baluardo degli edifici della polveriera venne demolito nel 1937, sanando di fatto una situazione di conflitto tra popolazione residente e la scomoda presenza di una fabbrica di polveri con relativi privilegi.
Bibliografia:
La tutela delle risorse idriche sono uno degli obiettivi della Regione Lombardia, con una serie di delibere di Giunta e di atti legislativi. La gestione della risorsa rimane, come pianificazione e grandi derivazioni alla regione e gli uffici collegati, mentre le piccole derivazioni sono a carico delle Province e della Città Metropolitana.
La Direzione Generale Ambiente e Clima si occupa di tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile. In particolare segue le attività tecnico-amministrative e di pianificazione in materia di qualità dell’aria, mitigazione dei cambiamenti climatici, emissioni in atmosfera, bonifiche, cave e miniere, rifiuti, tutela della biodiversità.
I siti tematici della regione sono elencati in una pagina ad hoc, da cui si accede ad una serie di informazioni utili, come:
Molte informazioni e database con una banca dati del sottosuolo con un minimo di dati desunti da altri elenchi. Mancano però molte informazioni che invece sono presenti in altre regioni.
Molti database presenti, suddivisi per tematiche con accesso agli open data di province e città metropolitana. Si consiglia l’utilizzo dei tag per facilitare la ricerca vista la vasta disponibilità di dati
L’accordo è stato promosso da Regione Lombardia, vede come Responsabile il Comune di Milano e si basa sul riconoscimento del ruolo che i sistemi rurali integrati e un’agricoltura multifunzionale possono svolgere in riferimento al contenimento del consumo di suolo, alla fornitura di servizi (ecosistemici, culturali, sociali ..), alla costruzione di nuove relazioni tra realtà urbane e rurali. La presenza attiva dei distretti agricoli è in questo quadro un punto di forza.
Esiste una pagina informativa sulle concessioni: le grandi derivazioni sono concesse dalla Regione, dagli Uffici territoriali regionali mentre le piccole dalle province e città metropolitana.
Le istanze di derivazione acqua pubblica dovranno essere “obbligatoriamente” presentate tramite il portale on-line di Regione Lombardia “SIPIUI”: SIPIUI
La Regione Lombardia in ottemperanza alla Direttiva 2000/60 ricade nel distretto idrografico padano ed il bacino idrografico del Po interessa il territorio di Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, e si estende anche a porzioni di territorio francese e svizzero.
L’ambito di competenza dell’Autorità di bacino riguarda il territorio compreso nella perimetrazione definita e approvata con DPR 01/061998 e successivamente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 173 del 19/10/1998, con annessa cartografia alla scala 1:250.000.
Si segnala la Direttiva alluvioni e il Piano di Bilancio Idrico.
Mentre l’Agenzia Interregionale per il fiume Po – AIPo, con quattro leggi approvate dai Consigli Regionali di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, è stata istituita, dal 2003, ente strumentale delle quattro Regioni, che raccoglie l’eredità del disciolto Magistrato per il Po (istituito nel 1956) e cura la gestione del reticolo idrografico principale del maggiore bacino idrografico italiano, occupandosi, essenzialmente, di sicurezza idraulica, di demanio idrico e di navigazione fluviale.
Per svolgere tali funzioni, AIPo è articolata con sedi territoriali nel bacino – da Torino (Moncalieri), fino a Rovigo – e ha la sua sede principale a Parma. Dal suo sito è accessibile il geoportale che raccoglie i dati delle regioni interessate riguardanti il reticolo maggiore. In diretta sono disponibili i dati del monitoraggio idrografico e la possibilità di estrapolare i dati storici.
In Lombardia ci sono dodici ATO, uno per provincia e città metropolitana. Agli ATO è demandato il governo dell’intero ciclo dell’acqua che comprende le attività di captazione (ricezione), adduzione (produzione) e distribuzione di acqua a usi civili, fognatura e depurazione delle acque reflue.
Con la legge regionale 12 ottobre 2015 – n. 32 è stato costituito un unico ATO (al posto dei precedenti ATO Provincia e ATO Città di Milano) coincidente con i confini amministrativi della Città metropolitana di Milano.
L‘Arpa Lombardia si occupa della protezione dell’ambiente e fa parte del Sistema Nazionale della Protezione dell’Ambiente , come tutte le altre Agenzie regionali e provinciali.
Nel tema delle acque è fortemente impegnata e sono disponibili due rapporti sullo stato qualitativo delle acque oltre al portale idrologico
Pagina del servizio di riferimento : qui sono elencate tutte le tipologie di procedimenti amministrativi effettuati e relativa modulistica.
La Provincia di Bergamo ha anche inserito un aggiornatissimo database cartografico delle derivazioni e molto altro liberamente consultabile. esiste anche un Geoportale, con dati molto scarni.
Pagina del servizio di riferimento : qui, oltre ai nominativi del personale incaricato, sono elencate tutte le tipologie di procedimenti amministrativi effettuati.
La Provincia di Brescia ha inoltre un geoportale , ove è possibile reperire una serie di informazioni cartografiche utili.
Pagina del servizio di riferimento : con i riferimenti del personale incaricato e disponibile; nella pagina introduttiva vi sono i dettagli sul procedimento amministrativo. La modulistica è reperibile qui
Pagina del servizio di riferimento : qui, oltre ai nominativi del personale incaricato, sono elencate tutte le tipologie di procedimenti amministrativi effettuati; a lato della pagina c’è la possibilità di scaricare la modulistica.
E’ consultabile a parte il link alle spese di istruttoria.
La Provincia di Cremona ha un portale cartografico, dove sono consultabili, informazioni utili per le derivazioni d’acqua sotterranea.
Pagina del servizio di riferimento: qui, oltre ai nominativi del personale incaricato, sono elencate tutte le tipologie di procedimenti amministrativi effettuati.
Pagina di riferimento del Servizio: qui è possibile reperire i contatti per la richiesta di informazioni.
Pagine di riferimento del servizio: qui è possibile reperire i riferimenti del servizio ed accedere alla pagina della modulistica.
La Provincia si è dotata di un geoportale con numerosi dati ambientali.
la Provincia di Mantova dispone di alcune pagine di domande frequenti ( FAQ) ed alcune di queste sono di chiarimento per il demanio idrico nella sezione ambiente.
Pagine di riferimento del servizio: qui è possibile reperire le informazioni relative alla procedura per il rilascio delle concessioni di derivazioni d’acqua.
Da questa pagina si accede ai vari servizi offerti on-line riferiti all’ambiente
Pagina di riferimento del servizio: qui è possibile scaricare la modulistica e tutte le informazioni necessarie.
Nessun dato
Pagina introduttiva del servizio : con i nominativi del personale e la modulistica con le procedure.
E’ attivo anche un sistema cartografico a varie modalità di accesso.
pagina di riferimento per le concessioni di derivazioni d’acqua con la modulistica e l’iter concessorio dettagliato.
invece per i contatti si consulta l’organigramma.
E’ disponibile un sito di cartografia on-line con alcune informazioni utili ( vai al sito).
In regione ci sono numerosi consorzi irrigui e di bonifica che si sono associati in un consorzio regionale, dal cui sito si accede a tutti gli enti associati
La Regione Campania ha un ricco sito per la difesa del suolo, dove tratta i numerosi temi inerenti il territorio. La Campania è solcata da pochi ma relativamente importanti corsi d’acqua. Il fiume Volturno è quello più importante ed è lungo all’incirca 170 Km mentre l’area del bacino idrografico, che è di circa 5600 Km2, rappresenta quasi il 40% dell’intero territorio regionale.
Il bacino idrografico è costituito dall’insieme di due importanti bacini: quello dell’alto Volturno, che si individua prevalentemente in rocce carbonatiche, e quello del Calore Irpino in cui prevalgono i litotipi argillosi. Il secondo fiume della Campania è il Sele che nasce dal Monte Cervialto dalla sorgente di Caposele ed ha una lunghezza di circa 65 Km mentre il suo bacino ha un’estensione areale di circa 3200 Km2.
Dalla pagina introduttiva si accede ad una serie di informazioni, compreso l’accesso al sistema informativo territoriale.
La Regione Campania, con la approvazione della Legge 16 dicembre 2004, n. 16, recante “Norme sul Governo del Territorio” ha istituito, all’art. 17, il Sistema Informativo Territoriale che, nel rispetto delle funzioni istituzionali di ciascun Settore, avrà il compito di coordinare l’informazione geografica della Regione e consentire a quanti operano, a diverso titolo, sul territorio regionale di avvalersi in tempi rapidi degli strumenti operativi di conoscenza al fine di indirizzare le scelte di pianificazione e di natura economica valutando le specificità del territorio regionale. Alcune informazioni sono ad accesso riservato, e bisogna registrarsi.
Il Piano di Tutela delle Acque è stato aggiornato nel 2020.
Sulle sua pagine web sono disponibili i piani- programmi. Sono rimasti alcuni siti delle antecedenti autorità di bacino come:
L’organizzazione “a rete” di Arpac si compone di una struttura centrale, con sede a Napoli, e cinque dipartimenti provinciali. La struttura centrale (Direzione generale, Direzione tecnica e Direzione amministrativa) definisce le politiche di indirizzo e di sviluppo, coordina le attività tecnico-scientifiche e amministrative dell’ente e ne elabora le strategie di comunicazione. Nell’ambito della Direzione tecnica, d’altra parte, sono presenti diversi comparti tematici: tra questi, Siti contaminati e bonifiche, Tutela dell’ambiente marino-costiero e oceanografia, Rifiuti e uso del suolo.
La tematica acque si è arricchita di alcuni approfondimenti recenti.
Riferimento unico per la gestione del Servizio Idrico Integrato, creato con Legge regionale 2 dicembre 2015, n. 15.
“Riordino del servizio idrico integrato ed istituzione dell’Ente Idrico Campano”, con vari distretti.
In parte raggruppati sotto un consorzio regionale , Campania Bonifiche , sono i seguenti:
In base alla L.R. 29 maggio 1980, n. 54 (Delega e sub-delega di funzioni regionali ai Comuni, alle Comunità Montane e alle Province e disciplina di provvedimenti legislativi ed amministrativi regionali concernenti le funzioni delegate e sub-delegate), e al Regolamento Regionale 12 novembre 2012, n. 12 così come modificato Regolamento Regionale 6 marzo 2018, n. 2., sono sub-delegate alle province tutte le funzioni amministrative in materia di acque ed acquedotti. Le grandi derivazioni sono rilasciate a livello regionale e si consiglia di contattare l‘URP.
Per le concessioni si fa riferimento ad una pagina dedicata, dove si scarica anche la modulistica.
La Provincia dispone di un SIT, ad accesso regolamentato. Esiste la modulistica per pozzi.
Sullo sportello on-line è disponibile la modulistica acque e i contatti
In una pagina dedicata si trovano i riferimenti, la modulistica ed il procedimento. Mentre per l’autorizzazione all’escavazione è un’altra struttura, dove è anche possibile accedere al catasto pozzi, previa richiesta. E’ presente anche un SIT
La Provincia ha un Geoportale con numerosi dati di base, mentre la modulistica, i riferimenti e le indicazioni per il rilascio di concessioni si trovano in un’altra pagina