Acquedotti militari della prima guerra mondiale – seconda puntata

Propongo un articolo apparso nel 2022 su una rivista amatoriale “Aquile in Guerra” pubblicata dalla Società Storica per la Guerra Bianca che, proprio per non dimenticare, è nata a Milano nel 1993 come associazione culturale senza fini di lucro che intende mantenere viva la memoria di quel particolare fronte della Prima guerra mondiale che vide come protagoniste le vette e le nevi delle nostre Alpi: un fronte dove spesso le linee erano poste a quote superiori ai 3000 metri di altitudine e che costringeva i soldati di entrambe le parti a dover combattere, prima ancora che col nemico, con condizioni di vita e atmosferiche ai limiti dell’impossibile. 

Rifornimento con autobotti nei pressi di Doberdò

SETE: UN TORMENTO PER DUE ESERCITI

di Mitja Juren

Riassunto
Il documento discute il tema dell’approvvigionamento idrico durante la Prima Guerra Mondiale, con particolare riferimento al fronte carsico, dove la scarsità d’acqua rappresentava un grave problema per entrambe le forze in conflitto. Viene evidenziato un ritrovamento di una botte di legno, risalente al 1916, che testimonia la vita quotidiana dei soldati asburgici, costretti a fronteggiare la sete in condizioni difficili. La botte, trovata sotto il Veliki Hrib, era ancora in grado di contenere acqua, essenziale per la sopravvivenza dei fanti durante i bombardamenti italiani. La narrazione si concentra sull’importanza logistica dell’acqua, sottolineando che, mentre il cibo era fondamentale, senza acqua i soldati non potevano resistere a lungo. Viene citato lo scrittore triestino Scipio Slataper, che descrive il carso come un terreno arido e difficile, dove il rifornimento idrico era cruciale per la sopravvivenza. Il documento analizza anche come l’organizzazione logistica delle forze militari fosse determinante per il successo delle operazioni sul campo, con un esempio che indica che dissetare 200.000 uomini richiedeva almeno 1.200.000 litri d’acqua al giorno. Il documento prosegue descrivendo le difficoltà nel trovare e trasportare acqua nei punti strategici, evidenziando l’importanza della disciplina e dell’igiene nel rifornimento. Il rifornimento d’acqua divenne un assillo costante per i comandi militari, e le truppe spesso si trovavano a dover bere acqua contaminata, aumentando il rischio di malattie. Le condizioni estreme sul fronte carsico costringevano i soldati a cercare fonti d’acqua, anche se questo comportava pericoli.  L’implementazione di un servizio idrico militare, attivato a maggio, mirava a garantire l’approvvigionamento di acqua potabile alle truppe. Fu istituita una rete di depositi e stazioni di pompaggio per facilitare il rifornimento, con un obiettivo di trasportare 800.000 litri d’acqua al giorno. Nonostante l’efficacia iniziale, il sistema si rivelò costoso e insostenibile per una guerra prolungata, portando a ulteriori sviluppi nel servizio idrico. Il documento evidenzia anche le difficoltà organizzative e burocratiche che complicarono l’implementazione del servizio idrico. Tuttavia, in pochi mesi furono attivati numerosi impianti, permettendo di pompare acqua da profondità significative e migliorando le condizioni delle truppe. Vengono menzionate anche le testimonianze dei soldati, che descrivono la sete insopportabile e le misure disperate adottate per dissetarsi. Infine, il documento sottolinea il ruolo cruciale dell’acqua nella guerra, non solo per il benessere delle truppe ma anche per il mantenimento della loro operatività. Le esperienze vissute dai soldati sul campo, come la ricerca di fonti d’acqua e i rischi associati, sono messe in evidenza attraverso diverse testimonianze, che ritraggono la vita dura e le sfide affrontate durante il conflitto.

La botte ritrovata simboleggia non solo la sete dei soldati, ma anche la resilienza e la determinazione di fronte alle avversità.

La botte “carsica” dopo la ripulitura. Sono ben evidenti le scritte che indicano la capacità, l’aquila bicipite e la data e il mese della fabbricazione.

Articolo

Su “Aquile in Guerra” recente è uscito un interessante articolo: “Leggere le assi: Gipfelstollen, il fortunato caso dell’identificazione di un manufatto ligneo”, di Francesco Davini, dedicato ad un ritrovamento avvenuto nell’area del vecchio fronte alpino.  A quelle altitudini il clima spesso favorisce la conservazione del legno mantenendone quasi integra la sua struttura. Più difficile è trovare resti lignei risalenti alla Prima guerra mondiale in pianura, salvo ritrovamenti occasionali in qualche cantina o soffitta. Nel nostro caso trattiamo di ritrovamenti sul campo di battaglia dell’altipiano carsico, su colline che a mala pena raggiungono i 500-600 metri.  Nonostante le caratteristiche di questo terreno un paio di anni fa sotto il Veliki Hrib q.343 (alle pendici del Carso di Comeno) è riemersa da una cavità una testimonianza, databile al 1916, legata alla quotidianità della vita  dei fanti asburgici nella caverne adibite a rifugio. Avvolta da un mantello secolare di fango è affiorata una botte di legno con le doghe di quercia ancora ben tenute insieme dai cerchi in acciaio. Nonostante l’età custodiva ancora efficacemente il suo prezioso liquido: l’acqua. Vedendo la sua forma panciuta faceva pensare al presidio in uniforme k.u.k. rinchiuso all’interno della grotta sotto un bombardamento dell’artiglieria italiana.  L’eco del martellamento interminabile faceva vibrare come una campana quell’ipogeo ricavato nel cuore di un terreno a metà tra il fango della pianura ed il cuore di roccia carsico. A turno i presenti allungavano la gavetta smaltata per ricevere la propria razione d’acqua. Il leutnant dopo l’esaurimento delle bottiglie d’acqua minerale aveva fatto attingere alla botte. Fece un rapido calcolo mentale tra il numero dei soldati presenti e la scorta idrica ancora disponibile.  Se non fossero rimasti sepolti nel crollo del rifugio almeno tre giorni si sarebbe potuto ancora resistere. A fianco della botte galleggiavano dei pezzetti di legno, in apparenza trascurabili. Ma bastava ripulirli per ritrovarsi in mano le matite di cent’anni fa. Nella penombra delle candele, mentre perdurava il bombardamento, vergavano parole su cartoline destinate alle tante località dell’impero. Insieme alle doghe di quercia ci raccontano la storia della sete sul Carso della grande guerra.

Stazione di pompaggio

Spesso camminando sulla pietraia carsica pensiamo allo svolgimento delle varie battaglie rievocando il dispiegamento delle truppe, i siti di dislocamento delle varie artiglierie e l’andamento dei combattimenti. In poche occasioni ci soffermiamo a pensare allo sforzo logistico profuso dai due eserciti per rifornire, di tutto quello che serviva, le truppe in prima linea. Tra queste cose, insieme ai vari materiali bellici, non doveva mancare il cibo ma soprattutto l’acqua, poiché è ben noto che alla fame si può resistere anche qualche giorno ma non alla sete.  Lo scrittore triestino Scipio Slataper aveva levato un canto d’amore al suo mondo di roccia: “Il carso è un paese di calcari e ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni grigi di piova e di licheni, scontorti, fenduti, aguzzi. Ginepri aridi. Lunghe ore di calcare e di ginepri. L’erba è setolosa. Bora. Sole. La terra è senza pace, senza congiunture. Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato. Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sè tutto il terriccio rubato, cade regolare, misteriosamente, da centomila anni, e ancora altri centomila. Ma se una parola deve nascere da te – bacia i timi selvaggi che spremono la vita dal sasso! Qui è pietrame e morte. Ma quando una genziana riesce ad alzare il capo e fiorire, è raccolto in lei tutto il cielo profondo della primavera. Premi la bocca contro la terra, e non parlare” (1).

Costruzione di una fontana presso le prime linee mentre i soldati si riforniscono d’acqua.

Proprio questo ritrovamento mi ha fatto riflettere sulle reti di distribuzione di questo prezioso liquido sul fronte carsico.  Ripercorrendo l’esito delle operazioni militari appare evidente che i migliori risultati coincidono con l’organizzazione logistica più efficiente e abbondante. La dilatazione delle forze in campo, come numero di soldati in armi e mezzi impiegati, innescò una rivoluzione organizzativa: all’addestramento tattico e all’esperienza militare si affiancò la capacità di assicurare ai reparti combattenti in linea le risorse necessarie per affrontare la moderna guerra d’assedio. Sotto il profilo idrico pensiamo solo ad un semplice dato: dissetare 200.000 mila uomini comportava uno sforzo di rifornimento capace di assicurare almeno 1.200.000 litri al giorno.  Il suolo carsico è sempre stato famoso per la scarsità superficiale dell’acqua; il suo cuore di roccia nasconde delle vene idriche ma difficilmente raggiungibili con tubature o canali. All’epoca tutto risultava poi aggravato dal costante agguato delle artiglierie contrapposte.   

Trovare l’acqua e convogliarla su punti nevralgici della retrovia, vicino a strade e sentieri, era solo il primo passo. A quel punto bisognava provvedere al suo invio presso le truppe in linea mobilitando autocolonne, salmerie di muli, reparti di portatori. Oltre alla disciplina del traffico bisognava regolare il servizio di carico e scarico; nelle stazioni di deposito sia in prima linea che in seconda veniva curata l’igiene con un ben regolato servizio di disinfezione, di lavaggi, di sterilizzazioni e di filtraggio. Il rifornimento dell’acqua divenne progressivamente un assillo costante dei comandi delle armate contrapposte; per quanto fossero poderose le posizioni difensive o d’assedio rischiavano di sgretolarsi come un castello di sabbia se i rispettivi presidi non potevano dissetarsi. “Il caldo soffocante della giornata, il fumo ed il fuoco delle granate incendiarie nemiche, ci soffocavano e toglievano il fiato; la gola era arsa dalla sete, nessuno più possedeva una goccia d’acqua, nemmeno per porgerne ai feriti ed ai morenti che la invocavano”,(2)  ricordava Sardus Fontana della brigata Sassari, schierata nell’agosto del 1915 alle soglie del Bosco Lancia. L’Isonzo alle loro spalle durante quella prima estate bellica sembrava irridere la sete di tanti soldati.

Masse d’uomini, stanchi dalle faticose marce, coperti di polvere e di fango, spesso traumatizzati dalle battaglie tra quote e doline apparivano ossessionati dalla sete. Vitto e indumenti passavano in secondo piano rispetto alla soddisfazione di quell’esigenza primaria.

Prigionieri austro-ungarici che si dissetano

Lungo la fascia carsica delle prime linee, l’acqua mancava e i rarissimi acquedotti risultavano danneggiati o  troppo distanti dallo schieramento in prima linea. Nelle prime settimane di combattimento le truppe assetate furono costrette ad abbeverarsi anche dalle rare pozze affioranti di acqua piovana. Quando un reparto si imbatteva in una di queste si assisteva a corse forsennate e tumulti per carpire almeno una goccia di quel liquido fangoso, pieno di germi con esiti spesso letali. Anche la sorte dei feriti, già provati da lesioni e dissanguamenti, era resa più tormentosa dall’arsura. 

A maggio nacque un nuovo servizio incaricato di organizzare il rifornimento del prezioso elemento: vennero attivati presso i comandi del genio di armata speciali “uffici idrici” per assicurare l’approvvigionamento di acqua potabile alle truppe durante la prima parte della campagna. Di volta in volta personale di truppa specializzato veniva assegnato a questi organismi per assolvere al delicato compito. 3) Grazie all’opera del nuovo servizio del genio sorse una prima serie ininterrotta di depositi quasi parallelamente e a breve distanza alla linea del fuoco. Più indietro altri siti analoghi apparvero lungo le vie di comunicazione a favore delle truppe di rincalzo. Il lavoro del personale fu così articolato: una parte curava la manutenzione delle prese di distribuzione, altri assicuravano il caricamento delle autocolonne e delle salmerie. Il resto dei genieri garantiva il carico e lo scarico dell’acqua nei depositi, e la successiva distribuzione alle truppe. Le cataste allineate delle grandi botti di legno segnalavano la presenza di questi siti intermedi di contingentamento e distribuzione. Non mancavano infine le squadre di disinfettatori.

Con questa prima organizzazione del servizio idrico furono trasportati nella zona degli altipiani 800.000 litri d’acqua al giorno: si assisteva ad un movimento di oltre 4000 botti caricate su centinaia di autocarri e di 50 autobotti da 1500 e 2000 litri ciascuna, migliaia di damigiane e barilotti. Le colonne dei portatori movimentavano giorno e notte oltre 4000 ghirbe percorrendo giorno e notte i boschi e le radure, le valli e le strade montane sino alle trincee più avanzate. L’obiettivo ideale era la fornitura di almeno 5 litri d’acqua ad ogni soldato. (4)

Era una soluzione efficace ma troppo onerosa visto il coinvolgimento di un grandissimo numero di mezzi e di uomini.  Poteva bastare per una breve campagna ma non ad una guerra di lunga durata. Si diede l’avvio allo studio per individuare le soluzioni idonee a soddisfare i bisogni crescenti di armate in espansione. Queste riflessioni determinarono la trasformazione del servizio idrico da occasionale in permanente.

L’autocarro e le salmerie avevano fatto il loro tempo: la razione dell’acqua per ogni uomo doveva crescere a 10 litri giornalieri. Ai luoghi di cura venne dedicata una particolare attenzione: bisognava provvedere ai bagni per la truppa, lavatoi per gli indumenti ed impianti di disinfezione, agli abbeveratoi per i quadrupedi, limitando gli sprechi. 

Il panorama degli obiettivi dell’ufficio idrico proponeva una serie di sfide di complessità crescente: il suo personale si concentrò nella ricerca di motori, pompe idrovore, tubi metallici e del personale esperto in questo tipo di servizio. Si guardò alle esperienze maturate fino a quel momento nei settori degli acquedotti e delle bonifiche. Alle difficoltà organizzative s’ intrecciavano i consueti ostacoli   burocratici di tradizione italica.

Nonostante le varie problematiche in pochi mesi vennero attivati innumerevoli impianti idrici, riuscendo a pompare l’acqua dal fondo valle sulle varie quote. Fu possibile con le tecnologie disponibili superare vari dislivelli dai 250 metri fino ai 1400 in alta montagna. Apparvero condutture in direzione delle prime linee, stazioni di pompaggio con il relativo personale addetto al controllo e manutenzione, serbatoi di cemento armato disseminati ovunque, (ancora oggi ne sono rimasti alcuni, riutilizzati dai carsolini come provvidenziali contenitori per la raccolta dell’acqua piovana, dai tetti delle case) abbeveratoi per quadrupedi, fontane di buona fattura, lunghi lavatoi e impianti di bagni per ufficiali e per la truppa.

Spesso questo lavoro è stato lasciato all’iniziativa degli ufficiali del genio che sfruttarono le peculiarità degli uomini e degli enti mobilitati nel nuovo servizio idrico. Mancavano regolamenti specifici e forse anche per questo funzionò abbastanza bene. 

Rifornimento idrico sul Sabotino

Le tracce sul terreno del loro lavoro sono state confermate da alcune mappe trovate presso l’archivio dell’Istituto dell’Arma del Genio a Roma. I disegni di quelle tavole evidenziano il percorso delle condotte che risalivano il ciglione carsico, la grande vasca di raccolta sopra Rubbia e le successive stazioni di pompaggio e di rinvio fino ai serbatoi sotto le prime linee tra il Fajti e Kostanjevica

Alle pendici nord dell’altipiano carsico possiamo ritrovare nella boscaglia una delle reliquie di questa rete di rifornimento del tempo di guerra. Alla confluenza del fiume Vipacco nell’Isonzo a Savogna (il nome del paese deriva dallo sloveno “Sovodnje” che significa appunto“confluenza di acque”, infatti la località è situata nel punto in cui si congiungono i due fiumi) sono  ancora visibili i resti di  un grande manufatto: si tratta di un impianto idrico costruito dai reparti del genio italiano tra la fine del 1916 e l’inizio 1917 per convogliare l’acqua sul Carso di Comeno. Dai fiumi Isonzo e Vippacco, varie prese idriche prelevavano il prezioso elemento che le varie centrali provvedevano a smistare fino a ridosso delle prime linee. Le botti continuavano a svolgere il loro prezioso servizio. Passando nell’estate del 1917 all’altezza della borgata di Bonetti, all’imbocco del Vallone, tra le case abbandonate era visibile una lunga teoria di sagome panciute. Svolgevano il ruolo di provvista per le truppe che salivano verso il settore delle quote 208 nord e sud, le gemelle maligne. Con fatica venivano di notte fatte avanzare fino alle doline dell’altipiano carsico destinate alle truppe in seconda linea. Secondo la testimonianza del mitragliere Annibale Ravasi non sempre il liquido in esse contenuto veniva apprezzato dalle truppe, per quanto assetate: “Vi sono due botti con acqua e non si può prenderne che a razione e satura di chinino e altre sostanze non la si può bere, ma in extremis va giù anche quella ma poca, si preferisce soffrire la sete”. (5)

Dopo la decima offensiva di maggio anche a Bonetti  il servizio sarebbe stato migliorato con l’attivazione di una rete di distribuzione: “A destra si ode invece  ansare in un nascondiglio blindato il motore per il rifornimento dell’acqua che i soldati si soffermano  in crocchi ad attingere alle cannelle distribuite nelle vicinanze”.(6)  Lo stesso lago di Doberdò dopo aver dissetato tanti soldati austriaci si mise al servizio del Regio Esercito dopo l’agosto 1916: “Più oltre un motore strepita sotto una copertura di frasche  allato al tubo di un pozzo: mi dicono sia l’impianto per mandare l’acqua a noi” (7).  ricordava sempre il reduce Beccaria.

Nomi di doline visitate in varie occasioni tra il Vallone e Lokvica ritrovano il loro senso: dolina delle Botti e dolina dell’Acqua ci parla della presenza di un serbatoio di smistamento mentre quella dell’Acquedotto testimonia il lavoro svolto da una centrale di rinvio capace di gestire 10.000 litri d’acqua all’ora.  Ritornando su quei luoghi ripensiamo a quegli umili soldati impegnati a garantire le arterie destinate a dissetare i reparti schierati al fronte.  Nonostante gli sforzi sull’altipiano carsico il problema dell’acqua in prima linea era costante, specialmente per i feriti che rimanevano nella terra di nessuno, come ci ricorda Giuseppe Poli: …” Ma quella sete, intanto era terribile. Cercò invano a sé qualche filo d’erba, per masticarlo e calmare un po’ l’arsura. Ma in quel posto la terra era stata troppo sconvolta dal formidabile aratro della guerra, per poter serbare qualche traccia di vegetazione. Là, tutto era morto. …”  (8)

Gli espedienti per far fronte alla sete spingevano i soldati a espedienti pericolosi per la loro salute, come ci ricorda il capitano Aldo Spallici, nel suo diario di medico militare sul Carso: …”1° giugno 1917. Fante, tu sei davvero l’espressione genuina del popolo italiano. “Utile paziente, bastonato”. Combattente magnifico, ignorante favoloso.  Marcerai sotto uragani di acciaio imperterrito, come sfonderai a picconate il tubo dell’acquedotto che passa sopra il camminamento per empire la tua vuota borraccia e ti darai un dovere di mangiare subito la scatoletta di carne che t’han dato come vitto di riserva, per alleggerirti di peso.  E così digiunerai tre giorni quando la corvèe del rancio sarà ferma al Vallone per il tiro nemico d’interdizione e ti disseterai con la tua orina. Così come nei giorni scorsi alla caverna Aosta. “(9)

Mappa con la rete degli impianti idrici sul basso Isonzo. (A.U.S.S.M.E.)

La paura dei medici militari che i fanti in linea si dissetassero con la propria urina, con le gravi conseguenze connesse, non era un semplice sospetto come testimonia un episodio della campagna di Bainsizza: …” Tornai dopo alcune ore nella dolina presso i miei uomini e li trovai disposti in semicerchio: mi avvicinai col presentimento di trovare qualche morto o ferito: mi si parò davanti agli occhi questo triste spettacolo. I soldati, con la bava alla bocca stavano attorno ad un mastello di legno riempito di ghiaia: vi avevano orinato dentro e aspettavano che l’orina si filtrasse per berla …” Guai a chi beve” gridai estraendo dalla fondina la rivoltella: essi si accasciarono a terra delusi. Feci collocare due tubi di gelatina con miccia nel mastello e lo feci salare” … (10)

Forse è proprio sull’altopiano della Bainsizza, terreno dalle rare sorgive, che la mancanza dell’acqua si manifestò con tutta la sua drammaticità, come ci ricorda Guido Alliney: …” I soldati della Bainsizza restarono per giorni esposti al sole, alla pioggia, alla sete inestinguibile di un territorio senza acqua; speso mangiarono cibo freddo – scatolette e poco altro – …. Di tutto questo, essi mai scrissero: rimase però loro la memoria privata, l’esperienza incancellabile di un evento estremo e unico. Fra le rare e preziose testimonianze che si sono giunte, ci è quella di un giovane di Savona, Agostino Tambuscio, mitragliere della Belluno, che nel suo diario personale narra, con schietto realismo, ciò che ha vissuto. Egli racconta della sete furiosa che lo rese capace di bere qualunque liquido a disposizione: “la sete ci tormentava. Poter avere un sorso d’acqua, sia pure calda … e bagnare una volta la bocca arida, acidosa. … La tentazione mi attira. Osservo il bidone dell’arma, oramai resa inservibile. … È colmo d’acqua. Acqua, però, veramente no, ma un liquido vischioso colore del latte. (…) Il bidone è stato rifornito in una pozzanghera, ove i muli calpestavano i loro stessi rifiuti. La tentazione m’assale (…). Stacco rapidamente una gomma dal manicotto dell’arma, la porto alla bocca mentre furiosamente con l’altra giro rapidamente la manovella. L’orina dei quadrupedi m’entra violentemente in bocca e calma un poco la sete. (11)

Con estrema meticolosità i comandi di divisione avevano curato il rifornimento delle truppe in attesa dell’attacco. Le gallerie destinate alle truppe della prima ondata ospitavano le botti destinate a rifornirli. Con la successiva avanzata si manifestarono i problemi legati alle crescenti difficoltà di rifornimento; la sete delle truppe contribuì al progressivo indebolimento delle truppe lanciate all’avanzata.  La carenza dell’acqua sulla Bainsizza è ben descritta anche da Ardengo Sofficci, nel suo Kobilek: …” Soltanto sugli scaglioni delle rocce un poco d’ombra cominciava a sbattere appena. Ed era per ripararsi in quella dell’ardore insoffribile, che tutti i soldati arrivati lassù s’erano arrampicati, per ogni sporgenza, dove restavano appollaiati, addossati alla parete curva, l’una ridosso dell’altro, l’una sull’altro, a migliaia, suscitando l’immagine di uno stormo d’avvoltoi che si riposassero da qualche fantastico volo. E tutta quella moltitudine urlava, ripetendo incessantemente una sola parola. “Acqua! acqua! acqua!” …” (12)

Cantiere dell’impianto idrico a Savogna

Anche le truppe alpine, avanzando sempre sull’acrocoro della Bainsizza, soffrirono la costante mancanza dell’acqua: …” Secondo giorno di battaglia. Le nostre truppe si allontanano viepiù dall’Isonzo, attraversando l’arido altipiano di Kahl. La sete divora i reparti. Solo l’acqua del fiume, oramai lontano, può essere portata lassù, per dissetarli, e non arriva mai; scene di disperata attesa. Il calore d’agosto accresce la sofferenza; i soldati soffrono e si accasciano; alcuni giungono a compiere atti estremi, indescrivibili, pur di dare alle labbra qualche cosa di liquido. Gli austriaci hanno studiato un mezzo diabolico. Un pozzo è tra le nostre linee, a Mesniack. Vicino ad esso un secchio, messo a bella posta. I nostri lo vedono. Parte un soldato con la speranza di dissetarsi. Pochi colpi aggiustati lo uccidono. Parte un secondo che, pur di bere, affronta la morte sicura. Esso pure cade, sotto il piombo nemico. Debbono intervenire, a forza, gli ufficiali per impedire tali tentativi disperati, mentre i più deboli piangono, come bambini, sotto la tortura della sete. …” (13)

Un’altra testimonianza sempre sulla carenza dell’acqua ma allo stesso tempo anche sullo spreco durante il trasporto e la distribuzione ci viene data da un contadino toscano arruolato nella brigata Cuneo: …” Verso le dieci il caldo si faceva soffocante; fra il lavoro, la sete ci levava la forza. Il rancio non ce lo potevano portare; due soldati portavano acqua, ma era distante la strada, battuta dall’artiglieria: quando arrivavano su, la metà l’avevano bevuta. Arrivati lì, tutti gli saltavano addosso: molta andava per terra: chi ne beveva tanta chi niente; si lasciava persin la trincea per non poter resistere. Qualche ufficiale, incattivito, ci ricacciava alle feritoie; si metteva lui a stribuirla, come si faceva il marsala i giorni passati. Allora tutti si bagnava la bocca; poi si stava peggio; l’ansità veniva sempre più. A mezzo chilometro, al di sotto, si vedeva la grande stenzione di mare: azzurro, cintilante. “Ah, se fossi lì: ci vorrei cacciare giù la testa come un’oca!”. Si ripensava alle belle fontane, persin ripensavo a quella di casa mia. “… (14)

Durante un’avanzata, quando la cucina non poteva seguire le truppe, si verificò un altro curioso episodio, dovuto sempre al caldo e la mancanza dell’acqua che rendeva il tutto ancora più penoso e tormentato, così lo descrive il capitano Carlo Canetta: …” Notai parecchi fanti adocchiare con cupidigia alcuni bidoni d’acqua d’una mitragliatrice  della 1093 che stava con noi e pensai bene di metterci una sentinella con ordini precisi.”… (15) Oppresso dalla sete il tenente dei Granatieri di Sardegna Giuseppe Russo, rimasto isolato con i suoi uomini alle pendici di quota 219, si spinse a dissetarsi con l’acqua di raffreddamento di una mitragliatrice austriaca abbandonata: si rivelò una brodaglia sporca di lubrificanti. 

Anche da parte austro-ungarica l’approvvigionamento dell’acqua per le truppe combattenti fu un tema molto sentito.  Fin dal primo anno di guerra l’Istituto di Geografia Militare di Vienna aveva fornito tavole d’orientamento particolareggiate alle truppe austro-ungariche impegnate sui vari fronti di combattimento. Oltre alla mappatura sistematica di guerra venne curata anche quella geologica   per singoli settori.

Géza Lukachich, barone di Somorja, tenente generale dell’imperiale regio esercito austro-ungarico e strenuo difensore del San Michele, visse le giornate frenetiche del rafforzamento difensivo dell’altipiano carsico, nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia. Oltre a riflettere in termini di sbarramenti di reticolato, quote trincerate, osservatori, caverne, strade, l’esercito asburgico sul Carso dovette tenere conto dell’esigenza di dissetare quotidianamente le truppe schierate nel settore:… “Rafforzamento dell’altipiano di Doberdó inizia il 30 aprile con 7, poi 13 squadre di 180 uomini ciascuna, e poi i tre battaglioni arrivati qui. Una linea lunga 25 km: linea lunga, uomini pochi, tempo incerto, difficoltà indescrivibili per la dura roccia ovunque, poco il materiale esplosivo e i perforatori da roccia. A ciò si aggiunga che gli ungheresi, abituati alla morbida terra fertile, non ci capivano nulla di esplosioni e rocce.

Naturale che il lavoro procedesse con estrema lentezza. La costruzione di ripari passò in secondo piano: più importante costruire una linea di difesa.

Facemmo saltare in aria e incendiammo i paesi davanti al fronte, Redipuglia, Vermegliano e Selz, perché non ostacolassero la visuale o non servissero da riparo ai nemici.

Uno dei fattori più importanti della difesa era la canalizzazione sul margine occidentale del carso: il canale Dottori, che alimentava in tempo di pace una centrale elettrica: inondazione artificiale, bombardamenti per chiudere il canale … Questa parte di linea difensiva nella prima battaglia dell’Isonzo non poteva essere attaccata dagli italiani. Non possiamo tacere dell’approvvigionamento d’acqua potabile e delle enormi difficoltà: non ci sono pozzi sul Carso, la gente vive dell’acqua piovana raccolta in cisterne sopra le case. Impossibile il trasporto in auto. Dopo lunghe ricerche si concluse che andava bene l’acqua delle fonti sotto il lago, sotto la superficie sporca: motori, pompe e tubi, con postazioni e metodi che migliorarono nel corso del tempo: da qui servivamo l’acqua a Monfalcone, Gorizia, e altri, nonostante il continuo e forte fuoco di artiglieria italiana, appena scoperto il tutto. (16)

Analogamente ai fanti italiani pure i fanti austro – ungarici si ritrovarono nelle condizioni di doversi arrangiare come ricordavano i fanti d’elite Deutschmeister del reggimento nr. 4 impegnati nel settore di Doberdò: … “Ma che razza di combattimento! Non solo il nemico, no, avevamo combattuto anche contro la natura e le particolari circostanze. Il terreno aperto, privo di ripari, il duro suolo carsico, l’assoluta mancanza d’acqua, l’ardente calura estiva, la impossibilità di fare pervenire alla truppa qualsiasi cosa e di sgomberare dal fronte i feriti, tutto ciò portò i valorosi e fedeli soldati alla disperazione. …  C’era forse da stupire se quei soldati pazzi di sete, affamati e terribilmente affaticati guardassero con cupidigia in direzione i Doberdò dove tra le tante belle cose c’erano beni preziosi come l’ombra e l’acqua? Dal guardare al gustare, per dei Deutschmeister la strada non è lunga; altrettanto breve lo è tra il volere ed il fare. Soldati e graduati si consultarono brevemente – in perfetto accordo cameratesco – poi a gruppi di 10 o 12 entrarono strisciando nel piccolo villaggio e ai pozzi si bagnarono le tempie ardenti, spensero la sete e riempirono le proprie borracce e quelle dei camerati. Fatto ciò, sgattaiolarono nei frutteti dove riempirono lo stomaco e gli zaini con i frutti immaturi squisitamente aspri” (17)

Con decreto del Ministero della Guerra, Sezione 5, n. 13518 del 16 settembre 1915
il servizio della “mappatura di guerra” fu posto direttamente sotto il comando dell’esercito e il comando della Kriegsmappierung venne assegnato al Colonnello del Corpo di Stato Maggiore Hubert Ginzel.

Le competenze del settore geologico si articolavano su cinque aree: costruzione di sistemi difensivi, guerra da mina, approvvigionamento idrico, scavo ed estrazione di materie prime  e compiti speciali. Per quanto riguarda la fornitura dell’acqua si prevedeva questa procedura:
a) accertamento della quantità e stoccaggio degli approvvigionamenti idrici nel terreno per lo sviluppo di nuove sorgenti e pozzi e per il miglioramento di sistemi di approvvigionamento idrico inadeguati esistenti.

b) Delimitazione delle aree senz’acqua e di quelle  in cui sono possibili pozzi poco profondi.
c) Informazioni per i sistemi di pozzo sommerso e per lo sviluppo di bacini idrici profondi (se possibile con galleggiabilità) attraverso pozzi profondi.
d) Delimitazione delle aree protette per i bacini idrografici e chiusura delle aree a rischio.
e) Fornitura di pensiline prodiero e locali di alloggio interrati con propri pozzi.
f) Assicurare il fabbisogno idrico per gli attacchi e le battaglie difensive.
g) Consulenza in materia di approvvigionamento idrico per città, campi, ospedali, strutture industriali e di traffico, ecc.

Il fronte dell’Isonzo era stato assegnato al Gruppo geologi per le rilevazioni di guerra nr. 5.  

Le competenze assegnate a questo organismo per il rilievo geologico bellico dell’Isonzo ai sensi dell’ordinanza AOK n° 52.247 del 5.VIII.1917 erano le seguenti:

realizzare schizzi di strati elencati di tutti gli strati di terra incontrati durante il lavoro in caverna, pozzi e costruzione di tunnel al fine di creare la rete di osservazione più vicina possibile per lo sfruttamento nella guerra da mina del futuro

Controllo della portata di tutte le sorgenti, i pozzi e le cisterne di questa zona, eventualmente misurato in diversi periodi dell’anno, da specificare in una mappa di approvvigionamento idrico. Vanno evidenziate in modo particolare le sorgenti o i pozzi sospettati di essere dannosi per la salute. (18) Nelle retrovie vennero poi attivati dei sevizi di imbottigliamento dell’acqua minerale da distribuire nelle caverne adibite a rifugio per le truppe in linea.

Oltre all’individuazione e drenaggio delle fonti venivano curate pure le condizioni igieniche dell’acqua. Con l’estensione della guerra di trincea vennero privilegiati i pozzi più profondi, con risorse idriche immuni dalle attività di guerra e presenza di migliaia di soldati sulla superficie. Era fondamentale garantire un ‘acqua potabile per prevenire le malattie assicurando l’operatività delle truppe ed il benessere degli animali da trasporto. I genieri austriaci erano al corrente delle esperienze degli alleati tedeschi nella potabilizzazione dell’acqua: oltre all’ebollizione e alla filtrazione i genieri tedeschi utilizzavano prodotti chimici disinfettanti, ozonizzazione e irradiazione (UV ecc.) mediante dispositivi mobili e apparecchi fissi. Era apprezzata la calce clorata per la sua efficacia disinfettante e si cercava di eliminare il cattivo gusto del cloro mediante l’aggiunta del cosiddetto anticloro (Tiosolfato di sodio, carbone animale).  Era costante il timore che il tifo o il colera potessero depauperare truppe già debilitate dai combattimenti e presidio di settori insidiosi. Una testimonianza del lavoro senza clamori ma fondamentale per la tenuta del fronte e benessere delle truppe si trova in fondo alla valle della Vipava, prima di raggiungere la sorgente del fiume Hubelj, seminascosta dalle moderne panchine,  appare una targa di pietra risalente al 1916. Questa reliquia ricorda il ruolo svolto dal gruppo dell’ingegner Trieb, all’epoca ufficiale con il grado di oberst, nel garantire il servizio idrico di rifornimento verso il fronte del San Marco – Vrtojba. Tornando indietro verso Nova Gorica, all’altezza di Ajdovscina, nel 1917 avremmo trovato i genieri austriaci impegnati nella gestione dei motori e delle pompe che convogliavano il rifornimento verso il settore del Carso. Durante l’estate la portata ridotta della Vipava determinava un razionamento dell’acqua distribuita alle truppe. La situazione si aggravava nei giorni delle offensive quanto la distribuzione si riduceva o cessava del tutto come ricordava un rapporto della 18a brigata di fanteria impegnata duramente nell’undicesima offensiva dell’Isonzo sul fronte di Sela na Krasu: “Non è da trascurare che in nessuna delle battaglie combattute nel corso della precedente 10a offensiva dell’Isonzo il bombardamento mediante granate caricate a gas si fece sentire in maniera tanto grave sulla retrovia, come stavolta , ed ovviamente il rifornimento delle munizioni e  dell’acqua divenne molto difficile e spesso impedito. Questo si fece sentire in modo particolare nelle giornate del 21, 22 e 23, quando le truppe rimasero senz’acqua” (19) 

Il servizio idrico militare dell’esercito austro – ungarico si caratterizzava per una peculiarità: nella ricerca delle fonti idriche vennero mobilitati sia i geologi che i rabdomanti (20).  Il veterano nella tecnica della ricerca delle fonti d’acqua nelle zone aride con la forcella di legno era Emerich Herzog . Nella Baufestungsdirektion curò la formazione di 263 allievi come rabdomanti.  Quest’ultimo tema venne trattato anche nel corso della conferenza dei geologi di guerra a Francoforte il 7 gennaio 1916.

Dal comando k.u.k dell’Isonzo Armee venne in particolare apprezzato il lavoro dell’ingegnere Karl Beichl,  Oberstleutnants dell’Ingenieur-Offiziers-Korps nella ricerca come rabdomante delle fonti di approvvigionamento idrico. Proveniva dal presidio militare di Zagabria ed era responsabile del reparto addetto alla realizzazione delle fonti idriche di rifornimento presso il comando della Isonzo Armee. Secondo le note caratteristiche appariva instancabile nelle sue attività e grazie all’impegno del suo reparto erano stati individuati innumerevoli pozzi. Coadiuvato dal Sappeur-Hauptmann Friedrich Musil era impegnato in una febbrile battaglia quotidiana contro la sete. Tra le truppe assegnate a questo servizio correva voce che si dovessero garantire almeno 20 milioni di litri d’acqua.   Una foto conservata nell’ Österreichisches Staatsarchiv di Vienna lo raffigura mentre impugna la sua bacchetta di legno ed un ‘annotazione di suo pugno richiama la frase di tradizione galileiana: “Eppur si muove” (21). 

Kornel Abel nel suo diario “Karst”, dedica un capitolo intero all’importanza dell’acqua, intitolandolo: “Afa estiva d’agosto”.  Estrapoliamone qualche frase: …” Il Carso arde. Fin dalle prime ore del mattino il sole batte su ogni pietra e le scalda tutte a poco a poco, fino a farle diventare roventi. … L’erba si sbianca come capelli incanutiti da un improvviso spavento. … Gli uomini non possono sfuggire il caldo. Già in queste prime ore del mattino respirano a fatica. La bocca rimane ostinatamente aperta, sperando in un fresco ristoro. La lingua è  gonfia, coperta da una saliva spessa e densa. Il caldo penetra fin dentro l’esofago. … La pelle è secca. Il corpo non ha più umidità e i soldati non riescono a sudare. … Le borracce e le botti sono vuote. Il loro contenuto è stato bevuto fin dalle prime ore della mattina. … Anche l’ultima goccia è stata leccata. (22)

In quella zona, sulle alture intorno a Jamiano, le trincee erano fornite d’acqua proveniente dal vicino lago di Doberdò. Abel ricordava però che spesso il prezioso liquido, attraverso una rete intricata in superficie, arrivava surriscaldato:  ….”Tutte le tubazioni sono state collocate alla bell’è meglio e a casaccio, perché scavare richiedeva troppo tempo o implicava un pericolo troppo grave.  Naturalmente i becchi delle condutture che sboccano nelle trincee esercitano sui soldati una straordinaria attrazione. Spesso essi si lasciano ingannare e si trascinano pieni di speranza fino al rubinetto. Ogni volta che qualcuno lo apre un getto d’acqua bollente lo investe in pieno petto, costringendolo a indietreggiare imprecando. Malgrado questo di tanto in tanto i soldati riempiono della broda fumante le borracce e le botti, trasportandole poi nelle caverne per farle raffreddare. Fredda o calda, l’acqua è sempre un liquido e riempie la pancia.”[1] 

La botte austro-ungarica, ritrovata fortunosamente in una grotta carsica, è una viva testimonianza del ruolo dell’acqua sull’arido Carso della grande guerra.  Una volta ripulita e riportata al suo antico splendore è tornata “onorevolmente” in servizio. Con la luna giusta ha accolto nel suo capace ventre di legno il vino Merlot dell’ultima vendemmia. Terminato l’affinamento tra le sue antiche doghe ne è uscito un vino dal sapore intenso  ma molto gradevole. Abbiamo brindato con un vino dal gusto veramente “storico” alla memoria dei tanti soldati del Carso.

All’interno della caverna, la botte comincia ad essere liberata dalla sua secolare prigione di acqua, fango e roccia.

NOTE:

[1]) Scipio Slataper, “Il mio Carso” Vallecchi Editore Firenze, 1943, pag.134-135

2) Sardus Fontana, Battesimo di fuoco, Cuec , Cagliari , 2004, pag. 80

3) L’Arma del Genio nella Grande Guerra 1915-1918, tipografia regionale Roma 1940, pag.34

4)La Lettura, L’acqua ai combattenti pag.558

5)Annibale Ravasi, Memorie, Archivio della Guerra del Museo del Risorgimento di Milano

5) A. Beccaria, Le coordinate di Boneti , da “L’Eroica”, ottobre 1928, Milano ,Pag.5

7) A. Beccaria, Ricordi del Carso, da Problemi d’Italia, 1925, Roma , pag. 4

8)Giuseppe Poli, Uomini del Carso, edizioni Codara Milano, 1928 pag.24

9)Nicola Persegati, La grande guerra di Spaldo, Il diario di guerra di Aldo Spallicci medico, repubblicano e poeta di Romagna,Gaspari editore 2008, pag.111

[1]0)Tenente Anonimo, Glorie e Miserie della Trincea, 1933, pag 166

11)Guido Alliney, Bainsizza 1917, L’azione del XXVII corpo d’armata verso Tolmino, LEG 2021, pag.221

[1]2) Ardengo Soffici, Kobilek, Longanesi & C. Milano,1960, pag. 158

[1]3) Umberto Fabri, ten, col., Sulle cime, ass.naz.Alpini, editore in Roma, 1935, pag.40

[1]4) Diario di Guerra di un contadino toscano, Cultura Editrice Firenze, pag.37

[1]5) Capitano Carlo Canetta, Fiamme di Guerra con i Fanti delle Brigate Livorno e Lombardia, pag.155

[1]6) La difesa di Doberdò nella prima battaglia dell’Isonzo, Scritto da Géza Lukachich, barone di Somorja pag.15.22

[1]7) Josef Seifert, Isonzo, Waldheim-Eberle A.G. Vienna , 1936  edizione italiana a cura della LEG 1983, pag.140 e 143

[1]8) Oberleutnant in der Reserve Dr. Artur Winkler von Hermaden, (manoscritto cortesemente messo a disposizione da Nicola Persegati)

[1]9)K.u.k.Infanteriebrigadekommando XI Isonzoschlaht.Auszug aus demtagebuche des k.u.k.I.R. 80.

20) Militärische Trinkwasserversorgung – einst und jetzt, Hermann Häusler, Berichte der Geologischen Bundesanstalt, ISSN 1017-8880, Band 113, Wien 2015

2[1])  Österreichisches Staatsarchiv, Kriegsarchiv

22) Abel Kornel, Karst, casa editrice A.Corticelli Milano, 1935, pag.97, 98

23) Abel Kornel, Karst, casa editrice A.Corticelli Milano, 1935, pag.99-100

RINGRAZIAMENTI:

Un particolare ringraziamento per l’aiuto e la loro disponibilità a: Nicola Persegati,Guido Alliney, David Erik Pipan e Marco Mantini.