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giugno 2020

Valutazione del livello massimo raggiungibile della falda nel Comune di Milano

Quando venne costruito il Duomo di Milano si pensava che il livello dell’acqua sotterranea non sarebbe mai cambiato. Bastava togliere pochi metri di terra e l’acqua era li, creando problemi non da poco nelle fondazioni delle costruzioni fin dai tempi dei Romani. Poi dagli anni Settanta del secolo scorso la situazione si ribaltò: la falda, causa massicci prelievi si abbassò anche di decine di metri creando altri problemi, come l’instabilità del tiburio del Duomo stesso. Ma all’inizio degli anni Novanta la situazione si ribaltò di nuovo, perchè la grandi industrie idroesigenti nella periferia milanese chiusero e la falda ricominciò a risalire.

Allora la Provincia di Milano istituì un gruppo di lavoro interistituzionale e interdisciplinare  che produsse una serie di progetti, articoli e pubblicazioni varie.

Perfettamente sintetizzato nella sua presentazione odierna dell’articolo scritto nel 2000, redatto a più mani, dal professore Vincenzo Francani:

” A Milano e nei comuni della città metropolitana, come in molti centri sparsi sul territorio nazionale, le risorse idriche necessarie per gli acquedotti cittadini e per le industrie vengono estratte dalla riserva idrica sotterranea , il cui livello si abbassa rapidamente (addirittura uno-due m per anno)nei periodi di intenso sviluppo produttivo, e si innalza nei periodi di crisi economica . Le opere nel sottosuolo come le metropolitane e quelle edili, soprattutto quelle più importanti, subiscono rilevanti interferenze da queste oscillazioni dei livelli di falda. Negli anni 90 ci si rese conto, in particolare a Milano anche grazie al fatto che Provincia,Comune,MM e Regione monitoravano ormai da molto tempo i livelli di falda, ma anche in molte città italiane, che era necessario provvedere a interventi di gestione delle acque sotterranee. Si prese atto della necessità, per una corretta programmazione dei progetti urbani, di prevedere, sia pure con gli ovvi margini di incertezza, l’entità delle variazioni del livello di falda nel tempo .

 La formazione della cultura di base e di quella specialistica  per l’elaborazione di metodi di calcolo di fenomeni in gran parte naturali , ha richiesto in quel periodo  uno sforzo di sintesi e  di rielaborazione da parte delle università italiane, e un  supporto dagli editori, per la diffusione a scala nazionale  di elementi culturali che  all’epoca  (fra il 1994 e il 2000), non sarebbe stata altrimenti possibile. 
E’ sembrato interessante riprendere, per rappresentare questo particolare momento , un articolo allora pubbicato nella collana Quaderni di Geologia Applicata di Pitagora editore (pited@pitagoragroup.it) che riassume le soluzioni proponibili all’epoca di questo non facile problema. 
 Il metodo utilizzato dal gruppo di ricercatori è stato quello di calcolare con un modello matematico  la somma  degli effetti  sul livello di falda di tutte le componenti ambientali (es, le piogge e i corsi d’acqua), e di quelle antropiche (es.dei prelievi da pozzi di acquedotto,agricoli e industriali).
La previsione ha comportato il calcolo degli effetti  che si sarebbero avuti se si fosse realizzato ciascuno degli scenari possibili, quali ad esempio la  dismissione di molti pozzi di acquedotto per inquinamento, il venire meno della produzione industriale per particolari condizioni economiche, la riduzione dell’incremento demografico nel tempo.  
In effetti dal 2000 a oggi complessivamente questi scenari si sono rivelati realistici, e si è constatato un tendenziale aumento dei livelli di falda, che oggi sono preoccupanti.
I risultati descritti nel testo sono esposti in tabelle e carte. 
Augurando buona lettura, e ringraziando l’editore che ha consentito la diffusione on line di uno dei numerosi lavori pubblicati ,credo che sia interessante controllare  a vent’anni di distanza in quale misura  questo metodo ha dato buoni frutti, e se  è oggi possibile rivederlo e migliorarlo.
 

ottobre 2020

Nicolodi F.1, Scioscia T.2
1 Geologo libero professionista, francesco.nicolodi@foldtani.it
2 Laureato in Scienze Geologiche, tighilu.scioscia@gmail.com

RIASSUNTO
Le acque presenti nel sottosuolo del comune di Milano rappresentano una risorsa fondamentale per la città. In particolare, in questo articolo vengono trattate le acque termominerali a carattere solforoso dell’acquifero profondo, derivanti da falde residuali di origine marina Plio-Pleistocenica. La chimica di queste acque risulta molto simile a quella delle sorgenti idrotermali e per questo motivo potrebbero essere estratte ed impiegate per la realizzazione di centri termali nella città di Milano. Il vantaggio di estrarre acque mineralizzate sarebbe quello rendere Milano un’area termale, fornendo un’ulteriore fonte d’attrazione e di guadagno per la città.

ABSTRACT
The waters present in the subsoil of the municipality of Milan represent a fundamental resource for the city. In particular,in this article are treated the sulphurous thermomineral waters of the deep aquifer, deriving from the interaction with the messinian evaporitic deposits. The chemistry of these waters is very similar to that of hydrothermal springs and for this reason, they could be extracted and used for the establishment of thermal center in the city of Milan. The advantage of extracting mineralized water would be to make Milan a thermal area, providing an additional source of attraction and profit for the city.

INTRODUZIONE
Le acque termo minerali sono state da sempre oggetto di interesse per le civiltà che hanno popolato il territorio lombardo. Nelle numerose testimonianze, archeologiche ed epigrafiche, viene spesso ricordato l’impiego di queste acque per pratiche di culto sia in età romana che preromana (Valvo, 2004). Diversi autori, tra cui Plinio il Vecchio, Seneca e Vitruvio, fanno riferimento alle proprietà chimiche e mediche di queste acque, che venivano anche utilizzate per curare diverse patologie fisiche o semplicemente per depurare l’organismo di chi le beveva (Bassani et al.2010). La conformazione geologica dell’Italia ha spesso permesso lo sfruttamento delle acque termo minerali che, per effetto delle forti pressioni legate alla presenza di vapore acqueo e CO2, riescono a raggiungere la superficie e a formare sorgenti. Di fatto, le manifestazioni termali sono legate quasi sempre alla presenza di una fonte di calore nel sottosuolo, che permette ai fluidi di riscaldarsi e risalire. In assenza di una fonte di calore abbastanza superficiale nel sottosuolo (Fig.1), le acque minerali tendono a rimanere in falda, rendendo più difficile il loro sfruttamento. Queste acque, pur rimanendo in falda, rappresentano una fonte di energia che sta prendendo largo impiego in pianura padana e in particolare negli impianti energetici degli edifici in costruzione, inoltre richiamano un certo interesse per i vari utilizzi legate alle loro proprietà chimiche e fisiche.

Fig.1- Carta geo-energetica della Lombardia in cui si osserva la variazione del potenziale geotermico da monte a valle; si può notare come a monte il potenziale è più alto mentre a valle diminuisce, probabilmente per effetto dell’approfondimento delle strutture tettoniche, che nel complesso alpino definiscono le geometrie superficiali (metadati da Regione Lombardia, 2019)

INQUADRAMENTO GEOGRAFICO
L’area di studio fa riferimento all’intero comune di Milano (Fig.2), che si estende per 181,64 km2 all’interno della regione Lombardia (nord Italia) e confina, rispettivamente a nord e a sud, con le province di Monza Brianza e Lodi, mentre ad est e ad ovest è delimitato dai fiumi Adda e Ticino. Il territorio milanese è caratterizzato da una morfologia sub-pianeggiante, con pendenza minime in direzione N-S che definiscono la rete idrografica locale, composta principalmente dai fiumi Lambro, Olona e Seveso e dai diversi canali artificiali creati in passato per scopi agricoli (rogge).

Fig.2: Ubicazione geografica dell’area esaminata (modificato da Regione Lombardia, 2017)

INQUADRAMENTO GEOLOGICO
Il territorio Milanese è costituito da unità di copertura neogenica-quaternaria prevalentemente di natura glaciale, fluviale e fluvioglaciale (Comizzoli et al., 1969). Risulta di particolare interesse la conoscenza del sottosuolo milanese, la cui analisi diretta è cominciata nella prima metà del ‘900 quando, attraverso i pozzi per l’acqua e i pozzi petroliferi, è stato possibile fare una ripartizione litologica e stratigrafica dei depositi quaternari fino a 300 m di profondità (Nordio, 1957). Dalle note illustrative del Foglio 118-Milano si osserva che la parte superficiale di questo territorio è costituito dalle terminazioni meridionali dei depositi alluvionali pleistocenici, associate alle fasi glaciali e interglaciali, in seguito pedogenizzati. Secondo Finchkl et al.,1984, l’evoluzione plio-quaternaria, susseguitasi alla fase erosiva del Miocene, può essere divisa in tre fasi principali: la prima  fase, associata alla regressione marina e alla sedimentazione dei depositi continentali e transizionali (Pliocene superiore- Pleistocene medio), una seconda fase legata alle glaciazioni e alla formazione dei depositi morenici e infine la fase postglaciale olocenica a sedimentazione prevalentemente alluvionale, in cui si ha la deposizioni dei vari supersintemi (Padano, Lombardo ed Emiliano-Romagnolo) (Fig.3).

Fig.3: Carta geologica dell’area di studio in cui sono indicati i vari sintemi e le unità geologiche (da progetto CARG di Regione Lombardia)

A profondità più elevate, la geologia del sottosuolo presenta unità riferibili al substrato roccioso tettonizzato, i cui termini più recenti risalgono all’Oligocene e che, immergendo verso S, delineano una struttura geologica profonda (Cassano et al.,1986). Il substrato roccioso comprende formazioni sedimentarie e cristalline con età comprese tra il Paleozoico e il Terziario che si incontrano, nella parte settentrionale del territorio, a profondità variabili tra i 40 e 60 m, mentre nella parte meridionale risultano più profondi e non vengono intercettate dai pozzi di perforazione (Comizzoni et al.,1969).

Fig.4: Sezione trasversale della struttura geologica della Pianura Padana (da “Risorse idriche sotterranee” di Gattinoni P., 2015)

In Fig.1 sono indicate le unità presenti nel sottosuolo padano, si riconoscono quelle appartenenti al Villafranchiano, costituito da argille e limi grigio-azzurre, presenti nella parte basale e da sedimenti limosi argillosi grigio-gialli con lenti sabbiose nella parte sommitale (Fig.4). Esso rappresenta un ambiente in parte continentale (lacustre intra-morenico) e in parte transizionale (fluviale-lagunare), la parte basale contiene un gran numero di fossili che vengono attribuiti alla porzione settentrionale dei depositi marini presenti nella valle dell’Olona. L’unità del Ceppo invece è rappresentata da ghiaie e sabbie medio grossolane con ciottoli talvolta cementati, che si ritrovano lungo le incisioni dei principali fiumi e in diversi pozzi della pianura Padana. Nella porzione sommitale, sopra alle unità del Villafranchiano e del Ceppo, abbiamo depositi alluvionali, conoidi pedemontane e depositi glaciali in cui sono comprese le unità che costituiscono gli apparati morenici della Pianura lombarda settentrionale.

Successione neogenico-quaternaria
Per la presenza di unconformities, che non permettono l’elaborazione di linee sismiche ad alta risoluzione, nel Foglio 118-Milano sono state utilizzate le USBU per suddividere la successione neogenico-quaternaria, cioè unità delimitate alla base e al tetto da superfici di discontinuità. L’analisi svolta da Regione Lombardia e Eni (2002) ha permesso l’identificazione di due superfici di discontinuità principali, riconosciute in gran parte del bacino padano. Queste superfici regionali separano tra loro le unità del sottosuolo riconducibili al supersintema Padano (PD) e a quello Lombardo, che si divide a sua volta in superiore (LS) e inferiore (LI). Le unità sopracitate sono state confrontate con quelle presenti nel progetto CARG della Regione Emila-Romagna, riscontrando delle equivalenze con il supersintema Quaternario Marino (QM) e il supersintema Emiliano Romagnolo superiore e inferiore (AEI e AES).

Super sintema Padano (PD)
Il PD è un’unità di nuova introduzione delimitata al tetto dalla superficie di inconformità “R” (0,87 Ma Calabriano), riconosciuta da Muttoni et al.(2003), denominata QC1 in ISPRA (2015) e corrispondente alla base del Gruppo Acquifero B (Regione Lombardi e Eni, 2002), mentre il limite sottostante del PD è definito da una superficie datata a circa 1,5 Ma (Calabriano) corrispondente alla QM1 di ISPRA (2015) e alla base del Gruppo Acquifero D (Regione Lombardia e Eni, 2002). La porzione sommitale del PD è costituita da cicli di spessore plurimetrico composti da sabbie a granulometria varia, da molto fini a medie, da limi e argille a concentrazione parziale di materiale organico e da corpi ghiaiosi-sabbiosi localmente cementati. Questi depositi sono attribuibili ad un ambiente alluvionale a carattere meandriforme, che spesso si riconosce nei depositi di canale fluviale (sabbie medie e fini amalgamate), più grossolani rispetto a quelli presenti nella piana alluvionale (sabbie fini e limi). La parte inferiore del PD, definita sommariamente attraverso i profili dei pozzi Agip (ENI), è costituita da depositi prevalentemente sabbiosi che presentano intercalazioni argillose e alcuni livelli ghiaiosi di spessore metrico. Questa unità basale contiene diversi fossili bentonici, tra cui foraminiferi, briozoi ed echinidi, che testimoniano una genesi di ambiente marino o marino marginale. Un progressivo aumento della granulometria dei depositi avviene intorno ai 280 m di profondità, dove si registra la presenza di ghiaie e sabbie alternate tra loro ed intercalate a livelli di materiale più fine (argilla, limo e torba), segnando il passaggio tra ambiente transizionale e continentale. Questo passaggio da ambiente marino-transizionale a continentale, avviene a cavallo di una superficie di inconformità che corrisponde alla base del Gruppo Acquifero C (Regione Lombardia e Eni, 2002) e alla QM2 di ISPRA (2015). In definitiva il PD è caratterizzato alla base da depositi di piattaforma interna e costieri (marino-marginali) che passano, verso l’alto, a depositi di transizione di tipo delta, conoide e laguna, per terminare con i depositi continentali di tipo alluvionale. Questa distribuzione corrisponde sostanzialmente al supersintema quaternario marino (QM), presente in Emilia Romagna (Regione Emilia-Romagna e Eni, 1998).

Supersintema Lombardo Inferiore (LI)
Questa unità del Calabriano-Pleistocene medio, presenta depositi costituiti da corpi di cospicuo spessore di sabbie a granulometria variabile, da media a grossolana e ghiaie medie grossolane con ciottoli localmente cementati. I banchi sabbiosi appaiono in parte caotici in parte organizzati in lamine con presenza di clasti, ad indicare una variazione dell’energia di trasporto del materiale da parte dell’acqua. All’interno delle sabbie si distinguono livelli pelitici, costituiti da argille e limi, che mostrano una certa continuità laterale e talvolta un colore rossastro attribuibile a paleosuoli. La varietà di granulometrie che si incontrano nel LI, sono rappresentative di un ambiente alluvionale, con apporti di materiale grossolano proveniente dagli anfiteatri glaciali presenti al margine del dominio sudalpino. Oltre alla granulometria, anche per la variazione latero-verticale dei sedimenti si ritiene che l’ambiente deposizionale sia in particolare riferibile ad una piana a braided e che i corpi sabbioso ghiaiosi presenti sono riconducibili ad un canale fluviale di energia medio alta. L’ LI è delimitato alla base dalla superfice “R” (Muttoni et al.,2003), mentre al tetto è presente la superficie di inconformità “Y” (Scardia at al., 2012), corrispondente alla superficie QC3 di ISPRA (2015) nonché alla base del Gruppo Acquifero A di Regione Lombardia e Eni (2002). La superficie “R” corrisponde ad un marcato cambio sedimentologico tra l’unità LI e la sottostante PD, correlato all’instaurarsi delle maggiori glaciazioni pleistoceniche (Muttoni et al., 2003).

Supersintema Lombardo Superiore (LS)
La superficie “Y” di Scardia et al. (2012) corrisponde al limite inferiore della LS, separandola dal sintema inferiore (LI) sottostante. Questa unità è di età pleistocenica media- olocenica ed è distribuita in strati con spessore variabile, caratterizzati dalla prevalenza di ghiaie grossolane con ciottoli mal cerniti e parzialmente cementati, con la subordinazione di livelli sabbiosi a granulometria media e grossolana. I livelli di materiale fine (argilla e limo) sono presenti anche in questa unità ma con continuità laterale meno marcata, i livelli sabbiosi sono scarsi e le sequenze di tipo finingupward crescente testimonia la presenza di frequenti fenomeni di erosione in un ambiente fluviale di alta energia. Il sintema LS è riconducibile ad un ambiente di tipo fluvioglaciale di tipo braided prossimale, che si rispecchia nella distribuzione non omogenea dei sedimenti e dalla prevalenza di granulometrie grandi.

Unità di Superficie
Supersintema di Besnate
La superficie interessata da questo studio risulta principalmente occupata dai depositi del supersintema di Besnate, costituito esclusivamente da depositi fluvioglaciali delimitati da superfici di alterazione (Fig.5). La litologia complessiva appare omogenea, rappresentata da: ghiaie grano sostenute, da massive a grossolanamente stratificate, con matrice sabbiosa e sabbiosa limosa; ghiaie a supporto di matrice; sabbie medie e grossolane. Questa unità coincide con il altopiano delle Groane e affiora al limite settentrionale del Foglio 118-Milano, tra Cesate-Limbiate e Ospiate.

Fig.5: Tabella che mostra le unità che costituiscono il supersintema di Besnate (tratto dalle Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia 1:50.000-ISPRA- Foglio 118 Milano)

Sistema di Cantù
Depositi formati da ghiaie stratificate a matrice-sostenuta di sabbie granulometricamente medio grossolane (alluvionali); diamicton a supporto di matrice con clasti centimetrici e decimetrici (depositi glaciali); limi e argille laminate (depositi lacustri). Questa unità affiora lungo i fiumi Lura e Olona, oltre che a NE della città di Milano e lungo le sponde del Lambro orientale e meridionale. Il sintema di Cantù si ritiene sia legato all’ultima glaciazione (LGM) e pertanto viene attribuito al Pleistocene superiore.

Sintema del Po
Unità postglaciale di natura ghiaiosa e sabbioso-ghiaiosa. Si distinguono principalmente in depositi fluviali, rappresentati dalle ghiaie a matrice sabbiosa limosa e depositi di tracimazione, ovvero sabbie e limi. Il sintema del Po costituisce la parte più superficiale della successione neogenica-quaternaria, di fatto il limite superiore coincide sempre con la superficie topografica e ricopre le altre unità con limite di tipo erosionale. Nel Foglio 118-Milano, il sintema del Po affiora in diversi settori, tra cui le valli del fiume Olona e del Lambro, oltre che lungo il livello modale della pianura a E e a O di Milano.

Unità Idrogeologiche
L’idrogeologia e la chimica delle acque sotterranee dell’area milanese riveste un’importanza fondamentale per il bilancio idrologico e per la valutazione delle risorse idriche. Secondo diversi autori (Beretta et al., 1983; Cavallin et al.,1983) nell’idrogeologia del sottosuolo milanese si riconoscono tre litozone (Fig.6), che dall’alto al basso  si dispongono secondo un trend granulometrico decrescente: litozona ghiaioso-sabbiosa, litozona sabbioso-argillosa e litozona argillosa.

Fig.6: Correlazione tra le varie unita litostratigrafiche e la divisione degli acquiferi presenti in pianura Padana (Carcano et al., 2002)

Come si fa presente nelle note illustrative del foglio 118 – Milano dell’ISPRA, l’idrostratigrafia di quest’area si può sintetizzare con la presenza di un acquifero superficiale o “tradizionale”, un acquifero profondo e un acquifero marino. Quello più superficiale, che va da N a S, comprende falde libere, semi-confinate e confinate, costituite da una litologia variabile da ghiaia con sabbie grossolane nella parte alta, a sabbie medie con intercalazioni di argilla e limo nella parte basale dell’acquifero. L’acquifero profondo risulta ben separato dagli acquiferi sovrastanti, è costituito da multistrati e presenta falde in pressione.  L’acquifero marino è costituito da una serie di livelli idrici delimitati da argille marine (Fig.7) Regione Lombardia, insieme ad Eni, hanno proposto una suddivisione in unità idrostratigrafiche basata sulla correlazione fisica dei corpi sedimentari, integrando dati di pozzo con interpretazione sismica:

  • Gruppo Acquifero A: porzione superficiale libera dell’acquifero tradizionale (litozona ghiaioso-sabbiosa), con spessore dal piano campagna di 30-40 m
  • Gruppo Acquifero B: parte profonda dell’acquifero tradizionale, generalmente confinato o semi-confinato, con spessori variabili da 30-40 m fino a 100 m
  • Gruppo Acquifero C: parte superiore dell’acquifero profondo (litozona ghiaioso-sabbiosa), con profondità tra 100 e 200 m
  • Gruppo Acquifero D: parte inferiore dell’acquifero profondo e gli acquiferi marini (litozona argillosa), con profondità oltre i 200 m

Fig.7: Schema geologico della distribuzione degli acquiferi della Pianura Padana ed identificazione dei complessi idrogeologici (Chahoud et al.,2013)

I tre acquiferi mostrano, per effetto della variazione litologica, una conducibilità idraulica decrescente verso l’alto. L’acquifero superficiale risulta molto vulnerabile e può essere soggetta a contaminazioni microbiologiche e chimiche, mentre quello profondo presenta pennacchi di contaminazione chimica per effetto della comunicazione con la falda sovrastante. L’acquifero marino, contiene H2S e a profondità superiori ai 200 m, ma i livelli impermeabili non permettono lo scambio con le regioni idriche sommitali e quindi il rischio di contaminazione risulta più basso.

Fig.8: Gradiente medio annuo di risalita della falda nel comune di Milano (dal PGT del comune di Milano, 2019)

Acque minerali
Dagli studi effettuati in pianura Padana, (Zuppi et al., 1985; 1986) le acque salmastre, intercettate durante la ricerca petrolifera, mostrano un chimismo e contenuto isotopico molto variabile con punte di arricchimento in calcio associato ad una diminuzione del contenuto di magnesio e potassio rispetto all’acqua marina. Queste salamoie fanno da barriera di densità con le porzioni superiori degli acquiferi, riducendo l’interfaccia con le acque vadose ad un leggero scambio osmotico. Le forze tettoniche legate all’avanzamento del fronte appenninico provocano in alcuni casi delle pressioni tali da permettere a queste acque di risalire in superficie per effetto “spremuta”. Queste acque sono caratterizzate dalla presenza di un’abbondante componente gassosa (H2S e CO2) e dalla forte saturazione in gesso. Inoltre, a causa della presenza di questi gas, il pH del sistema risulta leggermente acido, ma supponendo che le condizioni di circolazione diventino meno riducenti, la produzione endogena di CO2 e H2S diminuirebbe e il pH delle acqua slitterebbe a valori più basici prossimi a 8 (Colombetti & Nicolodi, 2005). Le acque analizzate a sud della pianura Padana hanno permesso di fare una suddivisione in base al contenuto ionico, mostrando due tipologie di chimismo, uno di acque ad alto contenuto di elementi alcalino-alcalino/terrosi e un altro di acque ricche in solfati (Colombetti et al.,1997). In base alle varie analisi condotte è stato individuato un circuito superficiale a scarsa mineralizzazione, una circolazione profonda in cui le acque hanno un chimismo solfato/calcico legato al contatto con i gessi triassici e un terzo circuito, anch’esso molto profondo e relativo alle salamoie associate ai giacimenti petroliferi.

Fig. 9: Sezione idrostratigrafica Burago 1 – Sarmato 1. La sezione, orientata N – S, subparallela (10 km circa ad E) alla sezione idrogeologica di figura 1, mostra l’andamento dei Gruppi Acquiferi A, B, C e D, ove il Gruppo Acquifero A, superiore (Color marrone), corrisponde al Primo Acquifero; il Gruppo Acquifero B (colore verde) corrisponde al Secondo Acquifero; il Gruppo Acquifero C (colore  rosa) corrisponde all’Acquifero Profondo.In grigio sono indicati i livelli poco o punto permeabili, di separazione fra ed entro i singoli Gruppi Acquiferi, mentre il colore azzurro segnala la presenza di acqua salmastra o salata. Come indicazioni di scala, mancando scale grafiche leggibili, il profilo topografico parte da quota 180 m s.l.m., termina a quota 70 m s.l.m. e si estende per circa 60 km; la massima profondità rappresentata in figura è di circa -830 m s.l.m. (Sezione n.2, Carcano et al., 2002)

La presenza di acque ad elevata salinità, presenti alla base delle successioni stratigrafiche (Fig.9) relativi ai bacini marini, rappresentano il residuo della deposizione di sedimenti in ambiente marino. Il chimismo delle acque originarie, intrappolate nei sedimenti marini, è cloruro-sodico con salinità prossima ai 50 g/l. Una volta avvenuto il seppellimento dei sedimenti, i processi di ultrafiltrazione hanno favorito la salinità complessiva delle acque per effetto di un aumento della concentrazione dello ione cloro e degli elementi alcalino-terrosi a discapito di quelli alcalini, oltre ad un arricchimento in calcio e una corrispondente diminuzione di magnesio e potassio. Rispetto alle acque marine originarie le acque intrappolate nei sedimenti presentano anche, per effetto del frazionamento isotopico, un arricchimento in ossigeno pesante 18O e un impoverimento in deuterio. Per effetto di questi processi le acque marine si sono trasformate in sacche di salamoie, con salinità compresa tra i 150 e i 200 g/l, che tendono a assumere un comportamento plastico che non conferisce la mobilità ma permette solo movimenti ascensionali per ultrafiltrazione (Fig.10), con ulteriore aumento della salinità. Le acque salmastre possono interagire con acque dolci di diversa origine e caratteristica e il loro comportamento dipende dal modo in cui esse vengono a contatto. Di fatto spesso si formano delle stratificazioni di densità che permettono il mescolamento solo all’interfaccia, portando ad un aumento della salinità nelle acque dolci. Oltre che alle acque dolci provenienti dagli acquiferi sovrastanti, si può avere miscelazione con le acque calde che risalgo da zone più profonde, arricchite in solfati per effetto della lisciviazione dei gessi messiniani. Secondo Ricchiuto (1986), c’è anche la possibilità che le acque filtrate dall’alto, una volta intercettate le salamoie, si riscaldino e risalgano in un secondo momento. La pianura Padana, come altri grossi bacini sedimentari, presenta acque di fondo salate (Bellardone et al.,1987) a profondità variabili tra i 700 e i 6000 m (Coggiola et al., 1986), in corrispondenza del limite tra Miocene superiore e Pliocene inferiore, che sono riconducibili alla “crisi di salinità” del Messiniano e alla successiva trasgressione marina pliocenica.

Fig.10: Schema non in scala in cui sono rappresentate le modalità di deflusso profondo nel Bacino di Savigliano. L’area gialla rappresenta la fascia di deflusso degli acquiferi superficiali, quelle verdi di quelli profondi, mentre l’area rosa costituisce l’area di flusso degli Acquiferi Molto Profondi (Irace et al., 2009).

(Francani, 1985) definisce queste acque “altamente mineralizzate” e le associa a serbatoi profondi separati da diaframmi impermeabili o semipermeabili di grande spessore e afferma che a esse, per la loro giacitura e per la lentezza dei movimenti ai quali sono sottoposte, difficilmente possono essere attribuite le caratteristiche tipiche delle falde abitualmente sfruttate per acquedotti.

SITUAZIONE MILANESE
All’interno del territorio milanese e della relativa provincia, le uniche acque riconosciute ufficialmente come termo-minerali sono quelle che emergono in prossimità del comune di San Colombano al Lambro, in località Gerette (Pilla, 2006). Queste acque vengono estratte tramite pozzi che arrivano a profondità variabili tra i 10 ai 30 m e sono disposti a breve distanza tra loro. In questo caso la chimica delle acque permette di contraddistinguere due idrofacies, una a carattere salso-bromo-sodica e una di tipo sulfurea. Queste acque sono riconducibili all’acquifero profondo della Pianura Padana, a cui si associano le salamoie derivanti dai sedimenti di origine marina, che presentano un grado di mineralizzazione variabile, da pochi gr/l a circa 40gr/l di residuo fisso a 180° per l’idrofacies salso-bromo-iodica e da 500mg/l di residuo fisso a 180° per le fonti sulfuree (Pilla, 2006). La diversa composizione di queste acque è da attribuire a fenomeni di mescolamento differenziale avvenuti durante la risalita. Di fatto, la mineralizzazione di queste acque e la loro natura solforosa è legata, così come accade in alcuni settori dell’appennino settentrionale (Cavanna et al.,2004; Colombetti & Nicolodi, 2005), alla lisciviazione di depositi evaporitici (gessi messiniani) che, nel territorio relativo al comune di Milano, restano in profondità a causa della conformazione geologica del territorio, priva di strutture tettoniche superficiali. A differenza delle aree a nord della provincia, i depositi presenti nel sottosuolo milanese sono costituiti da orizzonti argillosi costanti e di notevole spessore, che non permettono ai contaminanti di superficie di raggiungere i livelli sottostanti e quindi permettono di mantenere le acque profonde incontaminate (Pilla,2006). Nella città di Milano, nei pressi dell’Arena, vengono a giorno da un pozzo delle acque, con una significativa connotazione sulfurea, che provengono da alcuni orizzonti acquiferi sabbiosi sabbiosi-argillosi profondi e in pressione, relativi ai depositi del Quaternario marino (Pilla, 2006). Al di sotto della litozona ghiaioso-sabbiosa e ai depositi palustri del Villafranchiano, a circa 250 m, la successione continentale lascia spazio ai sedimenti marini, da cui emergono le acque sulfuree. Dalle analisi presenti sul Sistema Informativo della Falda di Milano (Fig.11), è possibile osservare che queste acque, come quelle di San Colombano, possiedono una idrofacies di tipo bicarbonato calcica con un grado di mineralizzazione modesto (conducibilità elettrica 285-325 μS/cm). Oltre all’idrogeno solforato, che conferisce le tipiche proprietà organolettiche, sono presenti altre sostanze, come bicarbonati (~190 mg/l), calcio, sodio, cloruri (10 mg/l) e anche magnesio, potassio, solfati, nitrati, ammoniaca, ferro, manganese e fluoro, che si mantengono in concentrazioni basse, comprese tra qualche mg/l e alcune decine di μg/l.

 Fig.11: Tabella con le principali caratteristiche idrochimiche della fonte “Acqua Marcia” neglia anni 2000 -2003 (nd= non determinato; tratto dal Sistema Informativo della Falda di Milano)

PROSPETTIVE DI SFRUTTAMENTO

Oltre al particolare caso di San Colombano al Lambro, in generale, l’area del comune di Milano non può essere considerata come termale, non presentando emergenze naturali di acque termo minerali, ma dispone di riserve idriche situate all’interno dell’acquifero profondo che presentano qualità assimilabili a quelle delle sorgenti idrotermali e che quindi potrebbero essere sfruttate anche esse, come accade in luoghi limitrofi, per la realizzazione di bagni terapeutici. Le connotazioni idrochimiche prima citate (Fig.11) non si discostano in modo sostanziale da quelle delle acque circolanti all’interno degli acquiferi più profondi, che possono presentare, per l’appunto, idrofacies chimiche e gradi di mineralizzazione sostanzialmente simili. Come visto nei paragrafi precedenti, la conformazione geologica del territorio comunale di Milano e della pianura padana in generale, ha permesso l’accumulo di importanti quantitativi di acque mineralizzate nel sottosuolo profondo, che di fatto rappresentano una risorsa sia dal punto di vista ambientale che economico. A tal proposito si può far riferimento al progetto, ventilato alcuni anni fa, di realizzazione di terme cittadine all’interno dell’area relativa all’ex ippodromo, in zona San Siro, dove attualmente si stanno eseguendo delle perforazioni per raggiungere l’acquifero profondo in cui sono conservate le acque mineralizzate. L’opera in questione permetterà di estrarre acque di natura termale direttamente in sito, evitando l’esportazione da aree termali o il trattamento di acque non mineralizzate. Questo tipo di impianti termali potrebbe essere esteso a diverse zone del comune di Milano, rappresentando un punto di partenza per trasformare l’area in zona termale e quindi beneficiare di tutti gli aspetti legati alla presenza di terme cittadine.

CONCLUSIONI

Le acque minerali potrebbero rappresentare per Milano una risorsa economica importante, che si basa sull’esclusività di possedere terme a carattere naturale, alimentate dagli acquiferi profondi nel sottosuolo e non soggette a condizionamento da parte dell’uomo. Lo sfruttamento di tali giacimenti pone, però, alcune limitazioni pratiche, non solo per la loro elevata profondità dal piano di campagna, ma anche in relazione alla difficile identificazione di importanti discontinuità tettoniche in grado di aumentare, localmente, la bassa conducibilità idraulica che possiedono i terreni che veicolano le acque minerali e, di conseguenza, incrementare la produttività degli eventuali pozzi di captazione (Pilla, 2006). La presenza di terme con acque minerali naturali, oltre ad aumentare il prestigio degli impianti, sarebbe una fonte di attrazione per molte persone, poiché risulterebbe più facile da raggiungere rispetto a sistemi termali attualmente utilizzati e presenti in altre zone. L’investimento legato alla realizzazione di terme potrebbe risultare vantaggioso su tutti i fronti, considerando che i benefici legati ai trattamenti con acque minerali naturali vengono considerati come beni di lusso e in quanto tali, promettono un guadagno da parte di possibili investitori che andrebbero a ricoprire in breve tempo le spese sostenute.


Le Terme a Milano
di Cristina Arduini

Parlare di terme a Milano sembra anacronistico, invece nei secoli passati a partire dai Romani le terme a Milano esistevano. Magari non come lo intendiamo noi adesso, ma in una delle capitali dell’Impero Romano nel secolo II secolo D.C. c’erano le terme Erculee e le terme nell’immenso palazzo imperiale, alimentate dai ricchissimi corsi d’acqua milanesi.
Ci ha provato anche in epoca napoleonica l’architetto Giovanni Antonio Antolini che voleva costruire in Foro Bonaparte un grandioso edificio per i bagni pubblici. E che dire dell’Acqua Marcia presente al Parco Sempione dagli anni 30 del secolo scorso?
Ma grazie ai vincitori del concorso Reinventig cities della rete delle città del mondo – C40 – a pochi passi dallo stadio di San Siro in un’area abbandonata per varie vicissitudini da decenni, nascerà una vera e propria stazione termale.
La zona interessata saranno le vecchie scuderie De Montel , sito di interesse storico, parzialmente occupato da edifici affacciati su un cortile, utilizzati in origine per l’addestramento dei cavalli e per le competizioni equestri. Le Scuderie sono un’importante esempio di stile Liberty dell’inizio del XX secolo, con dettagli artistici e stilistici ancora riconoscibili, nonostante il notevole stato di degrado e sotto la tutela della Soprintendenza.
La caratteristica fondamentale di queste terme sarà data da un pozzo, già scavato nel 2008, che utilizzerà le acque mineralizzate profonde, che raggiunge circa 330 metri di profondità con portata media di 15 litri secondo e le sue acque verranno impiegate per i vari usi come idropinici , bagni, previsti dal riconoscimento che verrà rilasciato dal Ministero della Salute.


BIBLIOGRAFIA

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Valvo A. 2006, “Fruizione e culto delle acque salutari in territorio lombardo”, in Usus veneratioque fontium 2006, pp. 363-384.

Gennaio 2021


Gli Stati membri dovranno garantire la fornitura gratuita di acqua negli edifici pubblici e dovrebbero incoraggiare ristoranti, mense e servizi di catering a fornire l’acqua ai clienti gratuitamente o a basso costo, come succede in Francia, dove ti portano direttamente al tavolo acqua del rubinetto in bottiglie riciclate. I Paesi UE dovranno inoltre adottare delle misure per migliorare l’accesso all’acqua per i gruppi vulnerabili, come i rifugiati, le comunità nomadi, i senzatetto e le culture minoritarie come i Rom. Il primo punto di maggior rilievo riguarda la rimodulazione dei valori limite per i parametri di qualità dell’acqua potabile, che dovranno poi essere stabiliti dagli Stati Membri in modo non meno stringente di quanto previsto nella Direttiva in esame. Nell’articolo 5 vengono richiamate le parti A, B, C e D dell’allegato I, in cui sono riportati i suddetti valori per ciascun
parametro specifico. In continuità con la precedente Direttiva 98/83/CE, nell’articolo 6 viene confermato il rispetto del limite al rubinetto dell’utente per i parametri elencati nelle parti A e B dell’allegato I, relativi ad acqua fornita nelle reti di distribuzione.


Monitoraggio e miglioramento della qualità dell’acqua del rubinetto
Per consentire e incoraggiare le persone a bere l’acqua del rubinetto piuttosto che l’acqua in bottiglia, la qualità dell’acqua sarà migliorata imponendo limiti più severi per alcuni inquinanti, tra cui il piombo.
Entro l’inizio del 2022, la Commissione redigerà e monitorerà un elenco di sostanze o composti. Tra queste vi saranno i prodotti farmaceutici, i composti che alterano il sistema endocrino e le microplastiche.
La Commissione stilerà inoltre un elenco UE dove saranno indicate le sostanze autorizzate a venire a contatto con l’acqua potabile.

In dettaglio:

  • La Direttiva mette in evidenza alcuni parametri venuti alla ribalta ultimamente come i PFAS, provenienti da scarichi industriali, che hanno pesantemente inquinato le acque sotterranee. Per tali sostanze sono stati introdotti i limiti di 0,50 ug/l per i PFAS totali e di 0,1 ug/l per la sotto famiglia di PFAS considerati di specifica preoccupazione per la salute riportati nell’allegato II parte B punto 3.
  • Importante anche la scelta di intervenire sui interferenti endocrini, in particolare il Bisfenolo-A, un parametro appartenente alla categoria degli interferenti endocrini, sostanze di origine varia ossia da composti farmaceutici, da prodotti industriali, ecc. che hanno la capacità di influenzare il sistema endocrino nell’uomo, in alcuni casi con effetti negativi.
  • Altro punto importante ed innovativo è l’introduzione della valutazione del rischio, che varrà anche per le reti domestiche, che si aggancia nella successiva predisposizione dei Piani di Sicurezza dell’Acqua e che porta a prevenire i possibili pericoli e di agire sulla loro prevenzione, per impedire che si verifichino situazioni di rischio. Un aspetto importante che potrebbe inserirsi in questo percorso è la protezione delle fonti di approvvigionamento attraverso varie azioni da parte del gestore, di cui la più determinante potrebbe essere l’acquisizione delle aree di approvvigionamento idrico.
  • Altro punto è la definizione della normativa relativa ai materiali a contatto con l’acqua potabile e dei mezzi filtranti e reattivi, che dovrà essere individuata dalla Commissione Europea.
  • La Direttiva si dilunga molto e a ragione sull’accesso all’acqua di tutti i cittadini e sulla corretta informazione al pubblico della qualità e della quantità dell’acqua distribuita.
Immagine da Pixabay

Contesto
Secondo la Commissione europea, anche se in Italia sarà estremamente difficile, un minore consumo di acqua in bottiglia potrebbe aiutare le famiglie dell’UE a risparmiare più di 600 milioni di euro all’anno. Se la fiducia nell’acqua del rubinetto migliora, i cittadini possono anche contribuire a ridurre i rifiuti di plastica dell’acqua in bottiglia, il che ridurrebbe anche i rifiuti marini. Le bottiglie di plastica sono uno degli articoli di plastica monouso più comuni che si trovano sulle spiagge europee.

Secondo GreenReport “Sotto questo profilo indubbiamente il nostro Paese avrebbe moltissimo da guadagnare. In Italia l’acqua del rubinetto presenta già parametri qualitativi tra i migliori del Vecchio continente, eppure l’italiano medio beve più acqua in bottiglia di tutti in Europa. E questo nonostante lungo lo Stivale l’acqua minerale costi in media 6mila volte di più rispetto a quella in bottiglia. Resta invece molto da migliorare l’infrastruttura idrica: come testimoniano gli ultimi dati Istat, perdiamo qualcosa come il 42% dell’acqua immessa in rete, che viene sprecata senza neanche arrivare al rubinetto. Si tratta di 156 litri al giorno per abitante: quanto basterebbe a soddisfare ogni anno le esigenze idriche di circa 44 milioni di persone.”

gennaio 2021

Può valere fino all’8% del Pil pro capite, acuire le differenze tra Nord e Sud, tra fasce di popolazione più povere e più ricche, insistere su una serie di settori strategici per l’Italia: i cambiamenti climatici sono un acceleratore del rischio su molti ambiti dell’economia e della società.
Pubblicato il rapporto 
“Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in Italia”. Realizzato dalla Fondazione CMCC, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, è la prima analisi integrata del rischio climatico in Italia. Un documento che, a partire dal clima atteso per i prossimi anni, si concentra su singoli settori per fornire informazioni su cosa aspettarci dal futuro e fornire uno strumento a supporto di concrete strategie di sviluppo resiliente e sostenibile.

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Il rischio connesso ai cambiamenti climatici interessa l’intero territorio italiano e tutti i settori economici. Pur con differenze tra diverse aree che sono interessate in maniera diversa, non ci sono regioni che possono considerarsi immuni dal rischio climatico che sta già crescendo in questi anni, con particolare riferimento agli eventi estremi.

L’analisi realizzata dalla Fondazione CMCC parte dagli scenari climatici che, attraverso un avanzato utilizzo di modelli climatici ad alta risoluzione applicati allo studio della realtà italiana, forniscono informazioni sul clima atteso per il futuro del Paese. Queste informazioni sono poi applicate all’analisi del rischio in una serie di settori del sistema socio-economico italiano. Ne emerge un quadro in cui il rischio cresce, nei prossimi decenni, in molti ambiti, con costi economico-finanziari consistenti per il Paese e con impatti che interessano in maniera più severa le fasce sociali più svantaggiate e tutti i settori, con particolare riferimento alle infrastrutture, all’agricoltura e al turismo.

Il rischio, la conoscenza scientifica e le strategie di risposta
“Il rapporto rappresenta il punto più avanzato della conoscenza degli impatti e l’analisi di rischio integrato dei cambiamenti climatici in Italia”, spiega Donatella Spano, membro della Fondazione CMCC e docente dell’Università di Sassari, che ha coordinato i trenta autori che hanno redatto i 5 capitoli che compongono la ricerca. “L’analisi del rischio e dei suoi effetti sul capitale ambientale, naturale, sociale ed economico, consentono di prendere in considerazione le opzioni di risposta individuate dalla ricerca scientifica e di sviluppare piani di gestione integrata e sostenibile del territorio valorizzandone le specificità, peculiarità e competenze dei diversi contesti territoriali”, continua Spano. “Queste conoscenze sono frutto di ricerca innovativa, di networking tra le Università che contribuiscono alla Fondazione CMCC e di collaborazioni internazionali, nascono dall’utilizzo di una infrastruttura di calcolo di primo livello nella ricerca globale. Mettere insieme tutti questi aspetti in una prospettiva di ricerca multidisciplinare è un impegno della comunità scientifica, i cui risultati sono al servizio della società e producono conoscenza a beneficio dell’intero sistema Paese”.

“La sfida del rischio connesso ai cambiamenti climatici – conclude Donatella Spano – parte dalla conoscenza scientifica per integrare l’adattamento, le soluzioni da mettere in campo di fronte al rischio, in tutte le fasi dei processi decisionali, nelle politiche pubbliche, nei programmi di investimento e nella pianificazione della spesa pubblica, in modo da garantire lo sviluppo sostenibile su tutte le scale territoriali e di governance”.
Corredato da una serie di messaggi chiave, schede infografiche e un estratto di sintesi realizzati per agevolare la lettura e la fruizione dei contenuti, e disponibili a questo link, il report affronta i temi che sono di seguito sintetizzati.

Il clima atteso per il futuro dell’Italia. I diversi modelli climatici sono concordi nel valutare un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050 (rispetto a 1981-2010). Nello scenario peggiore l’aumento della temperatura può raggiungere i 5°C. Diminuzione delle precipitazioni estive nelle regioni del centro e del Sud, aumento di eventi precipitazioni intense. In tutti gli scenari aumenta il numero di giorni caldi e dei periodi senza pioggia. Conseguenze dei cambiamenti climatici sull’ambiente marino e costiero avranno un impatto su “beni e servizi ecosistemici” costieri che sostengono sistemi socioeconomici attraverso la fornitura di cibo e servizi di regolazione del clima. (Vedi scheda infografica).

Rischio aggregato per l’Italia. La capacità di adattamento e la resilienza in Italia sono temi che interessano l’intero territorio italiano da Nord a Sud. Anche se più ricche e sviluppate le regioni del Nord non sono immuni agli impatti dei cambiamenti climatici, né sono più preparate per affrontarli. Per quanto riguarda gli eventi estremi, la probabilità del rischio è aumentata in Italia del 9% negli ultimi vent’anni.

Costi economici, strumenti e risorse finanziarie. I costi degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia aumentano rapidamente e in modo esponenziale al crescere dell’innalzamento della temperatura nei diversi scenari, con valori compresi tra lo 0,5% e l’8% del Pil a fine secolo. I cambiamenti climatici aumentano la disuguaglianza economica tra regioni. Tutti i settori dell’economia italiana risultano impattati negativamente dai cambiamenti climatici, tuttavia le perdite maggiori vengono a determinarsi nelle reti e nella dotazione infrastrutturale del Paese, nell’agricoltura e nel settore turistico nei segmenti sia estivo che invernale. I cambiamenti climatici richiederanno numerosi investimenti e rappresentano un’opportunità di sviluppo sostenibile che il Green Deal europeo riconosce come unico modello di sviluppo per il futuro. È il momento migliore in cui nuovi modi di fare impresa e nuove modalità per una gestione sostenibile del territorio devono entrare a far parte del bagaglio di imprese ed enti pubblici, locali e nazionali. (Vedi scheda infografica)

Le città e l’ambiente urbano. In seguito all’incremento nelle temperature medie ed estreme, alla maggiore frequenza (e durata) delle ondate di calore e di eventi di precipitazione intensa, bambini, anziani, disabili e persone più fragili saranno coloro che subiranno maggiori ripercussioni. Sono attesi, infatti, incrementi di mortalità per cardiopatie ischemiche, ictus, nefropatie e disturbi metabolici da stress termico e un incremento delle malattie respiratorie dovuto al legame tra i fenomeni legati all’innalzamento delle temperature in ambiente urbano (isole di calore) e concentrazioni di ozono (O3) e polveri sottili (PM10).
(Vedi scheda infografica)

Rischio geo-idrologico. Dall’analisi combinata di fattori antropici e degli scenari climatici si evince che è atteso l’aggravarsi di una situazione di per sé molto complessa. L’innalzamento della temperatura e l’aumento di fenomeni di precipitazione localizzati nello spazio hanno un ruolo importante nell’esacerbare il rischio. Nel primo caso, lo scioglimento di neve, ghiaccio e permafrost indica che le aree maggiormente interessate da variazioni in magnitudo e stagionalità dei fenomeni di dissesto sono le zone alpine e appenniniche. Nel secondo caso, precipitazioni intense contribuiscono a un ulteriore aumento del rischio idraulico per piccoli bacini e del rischio associato a fenomeni franosi superficiali nelle aree con suoli con maggior permeabilità.(Vedi scheda infografica)

Risorse idriche. Gran parte degli impatti dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche prospettano una riduzione della quantità della risorsa idrica rinnovabile, sia superficiale che sotterranea, in quasi tutte le zone semi-aride con conseguenti aumenti dei rischi che ne derivano per lo sviluppo sostenibile del territorio. I cambiamenti climatici attesi (periodi prolungati di siccità, eventi estremi e cambiamenti nel regime delle precipitazioni, riduzione della portata degli afflussi), presentano rischi per la qualità dell’acqua e per la sua disponibilità. I rischi più rilevanti per la disponibilità idrica sono legati a elevata competizione settoriale (uso civile, agricolo, industriale, ambientale, produzione energetica) che si inasprisce nella stagione calda quando le risorse sono più scarse e la domanda aumenta (ad esempio per fabbisogno agricolo e turismo).
(Vedi scheda infografica)

Agricoltura. I sistemi agricoli possono andare incontro ad una aumentata variabilità delle produzioni con una tendenza alla riduzione delle rese per molte specie coltivate, accompagnata da una probabile diminuzione delle caratteristiche qualitative dei prodotti, con risposte tuttavia fortemente differenziate a seconda delle aree geografiche e delle specificità colturali. Impatti negativi sono attesi anche per il settore dell’allevamento, con impatti sia diretti che indiretti sugli animali allevati e conseguenti ripercussioni sulla qualità e la quantità delle produzioni. (Vedi scheda infografica)

Incendi. L’aumento delle temperature e la riduzione delle precipitazioni medie annue, la maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi quali le ondate di calore o la prolungata siccità, interagiscono con gli effetti dell’abbandono delle aree coltivate, dei pascoli e di quelle che un tempo erano foreste gestite, del forte esodo verso le città e le aree costiere, e delle attività di monitoraggio, prevenzione e lotta attiva sempre più efficienti. Si prevede che i cambiamenti climatici esacerberanno ulteriormente specifiche componenti del rischio di incendi, con conseguenti impatti su persone, beni ed ecosistemi esposti nelle aree più vulnerabili. Sono attesi incrementi della pericolosità di incendio, spostamento altitudinale delle zone vulnerabili, allungamento della stagione degli incendi e aumento delle giornate con pericolosità estrema che, a loro volta, si potranno tradurre in un aumento delle superfici percorse con conseguente incremento nelle emissioni di gas a effetto serra e particolato, con impatti quindi sulla salute umana e sul ciclo del carbonio. (Vedi scheda infografica)

Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia.
Spano D., Mereu V., Bacciu V., Marras S., Trabucco A., Adinolfi M., Barbato G., Bosello F., Breil M., Coppini G., Essenfelder A., Galluccio G., Lovato T., Marzi S., Masina S., Mercogliano P., Mysiak J., Noce S., Pal J., Reder A., Rianna G., Rizzo A., Santini M., Sini E., Staccione A., Villani V., Zavatarelli M., 2020. “Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia”.
DOI: 10.25424/cmcc/analisi_del_rischio

Tutti materiali sono disponibili su:
https://www.cmcc.it/it/analisi-del-rischio-i-cambiamenti-climatici-in-italia

marzo 2019

Leonardo da Vinci e una gita a Vigevano

da Arte e Memoria

Le giornate si allungano e fa piacere camminare tra il verde tenero dei prati in fiore e dei boschi con le nuove foglie. Ancora meglio con il rasserenante scorrere dell’acqua nei canali di irrigazione.

Ed oggi vi parlo appunto di un “percorso d’acqua” che Leonardo, quello di cui quest’anno si celebrano i 500 anni dalla morte, su incarico del Duca di Milano, seguì ed adattò alle nuove esigenze dell’agricoltura. Percorse i dintorni di Vigevano tra il 1482 e il 1499 in lungo ed in largo, osservando e prendendo appunti e schizzi sul quadernetto che portava sempre attaccato alla cintura.

Una guida, anche in lingua inglese,  che l’associazione Arte e Memoria del Territorio che dal 1997 si occupa di acqua e della rete di canali storici legati a l’agricoltura, a partire da Piemonte e Lombardia, promuovendo la conoscenza dell’acqua e del suo territorio con pubblicazioni, campagne fotografiche, mostre, visite guidate e attività con le scuole primarie, secondarie e superiori, ha recentemente pubblicato in collaborazione con Parchi e Riserve Naturali Regionali e Provinciali che si occupano del territorio agricolo in Italia.

Come suggeriscono gli autori della guida “Percorsi d’acqua- guida poetica al viaggio nel paesaggio di Leonardo da Vinci a Vigevano”, si tratta di percorrere le tappe di un percorso attraverso inaspettate ed antiche opere di architettura ed ingegneria idraulica che rappresentano il punto focale di un grandioso programma di bonifica voluto da Ludovico Sforza.

Con l’aiuto di immagini fotografiche che colgono la suggestione del paesaggio che lo stesso Leonardo disegnava sui suoi taccuini e con la rigorosa informazione storica e scientifica della guida sarà piacevole perdersi tra i prati e fermarsi ogni tanto ad ammirare come l’uomo possa, se vuole, convivere con la natura e trarne vantaggio.

Un salto poi a vedere la magnifica piazza di Vigevano e gustare i piatti tipici nei ristoranti in zona sarà il premio finale di una giornata all’aria aperta, seguendo le orme di un eclettico maestro d’arte di altri tempi.

Informazioni tecniche

La guida al costo di 15 euro è reperibile presso la Libreria Touring Club Italiano, Corso Italia, La Fiera del Libro, Corso XXII Marzo, Libreria Popolare di via Tadino.